Il penultimo appuntamento con gli incontri con Marco Bellocchio alla quindicesima edizione del Bif&st si è svolto eccezionalmente stamattina al Teatro Petruzzelli, dove la proiezione di “Vincere” (2009) è stata seguita da un partecipato colloquio tra il regista piacentino e lo storico Luciano Canfora, moderato da Enrico Magrelli. Il tema del fascismo – che faceva già da sfondo al film di Bellocchio e che è anche al centro dell’ultimo saggio di Canfora “Il fascismo non è mai morto” – ha attraversato buona parte dell’incontro, a partire dalla novità storica che introdusse il ventennio, quella dell’autorappresentazione. “Con la sua autorappresentazione attraverso i filmati, i giornali, la radio, le icone – ha esordito Luciano Canfora – viene fuori la modernità del ‘900 rispetto alla vecchia destra ottocentesca, aristocratica e arcaica. Da popolare e nazionalista al tempo stesso, il fascismo ha utilizzato la sua autorappresentazione per manipolare le coscienze, conquistare il cervello degli italiani. C’è da dire, però, che anche alcuni regimi democratici non hanno disdegnato poi di utilizzare gli stessi strumenti“. Bellocchio: “Nel mio film ho voluto raccontare la figura di Ida Dalser, una donna della quale si è parlato pochissimo, Renzo De Felice le dedica non più di tre righe, qualcosa di più si può ora leggere in “M” di Antonio Scurati. Mi interessava la sua disperazione e ostinazione nel volersi vedere riconosciuta come moglie legittima di Benito Mussolini e madre di suo figlio Benito, che l’ha portata a uccidere se stessa e poi suo figlio. Al contempo, però, mi interessava anche quel passaggio storico in cui mettersi in mostra era diventata una forte arma di propaganda, una modalità che poi ispirò anche Hitler e, in modi diversi, Lenin e Stalin. Era una novità assoluta che anticipava un po’ quello che successivamente sarebbe accaduto con Silvio Berlusconi e il suo utilizzo delle televisioni“. “Mi viene in mente – ha osservavo Canfora – che quando De Gasperi andò negli Stati Uniti dopo la guerra, disse che aveva visto qualcosa attraverso cui poter vincere le elezioni: la televisione, appunto!”. “Aggiungo, però, che Benedetto Croce, nei suoi diari scritti tra il 1943 e il 1944, descriveva Mussolini come un uomo di corta intelligenza, di dubbia moralità, ignorante e vanitosissimo, raccomandando ai posteri di non rivalutarlo o esaltarlo in futuro. Le stesse leggi razziali si fondavano su quel razzismo che in lui aveva origini lontane, ne parlava già all’epoca in cui era socialista. Anche il premierato di cui si parla oggi ha le sue radici nell’epoca fascista, con Mussolini che, quando divenne Primo Ministro, iniziò un’opera graduale di sgretolamento dei poteri del Re“. Enrico Magrelli ha osservato come il fascismo, con la sua propaganda, non abbia prodotto un’arte degna di questo nome, come invece era accaduto con il socialismo in Unione Sovietica. “Questo perché quella fascista non fu una vera rivoluzione – ha replicato Canfora – fu una commedia mediocre messa in scena con la complicità di quella parte della piccola e media borghesia italiana che temeva una deriva socialista dopo la rivoluzione russa. Quest’ultima coinvolse invece, con il suo fragore popolare, il meglio dell’intellighenzia russa, come pure era accaduto ai tempi della rivoluzione francese, generando grande letteratura, arte, cinema. Quegli stessi artisti che ne furono artefici ne furono però in seguito travolti quando si era esaurita la spinta rivoluzionaria. Anche il grande Ėjzenštejn, il più importante regista russo a un certo punto della sua carriera iniziò a subire la censura“. Bellocchio: “Penso che l’unico lascito significativo del fascismo sia stata la sua architettura razionalista. Per quanto riguarda il cinema, per avere un titolo di rilievo artistico bisognerà aspettare il 1943 con “Ossessione” di Luchino Visconti che, sotto sotto, era un film contro il fascismo“. Cosa ha rappresentato Mussolini per il giovane Marco Bellocchio? Bellocchio: “Durante e dopo la Guerra, quando ero bambino, io ho registrato un’atmosfera di antifascismo. Mia madre mi raccontò poi che la sua famiglia aveva aderito al fascismo non per intima convinzione ma per quello di cui parlava prima Canfora, la paura del comunismo. Mio padre indossava la camicia nera in rarissime occasioni, quando era proprio indispensabile. Quello che invece non ho mai capito è perché i miei genitori, dopo la guerra, votarono a favore della monarchia al referendum, nonostante la vergogna delle leggi razziali e la fuga vigliacca di Vittorio Emanuele III dopo l’Armistizio. E non furono certo i soli, visto che i voti per la monarchia superarono il 45%”. L’ultimo incontro con Marco Bellocchio si terrà oggi pomeriggio al Teatro Kursaal Santalucia, con il regista che dialogherà con Don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, dopo la proiezione di “Rapito” e prima dell’ultimo film in programma del tributo a lui riservato dal Bif&st 2024, “Il traditore”. |