Prosegue al Teatro Kursaal il Programma del Teatro Pubblico Pugliese, con la messa in scena di uno straordinario dramma umano, che dagli anno ’80 ancora ci lascia interdetti e ci fa riflettere sugli avvenimenti , sulla cronaca di una morte annunciata che si sarebbe potuta evitare, se l’omertà non avesse preso il sopravvento.
Si tratta de “l’Istruttoria” regia di Ninni Bruschetta con Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro, con musiche composte ed eseguite dal vivo dai DOUNIA (Giovanni Arena al contrabbasso, Vincenzo Gang alla chitarra, Riccardo Gerbino alle percussioni e alla voce Faisal Taher).
Tutto muove e prende forma, dagli atti del processo per l’assassinio del giornalista Giuseppe Fava e precisamente da un testo scritto dal figlio di quest’ultimo, Claudio. Qui gli atti del processo sono ricostruiti e drammatizzati in una sceneggiatura teatrale in sintonia e fedeltà con la realtà del processo. In uno spazio e un tempo alquanto limitati sono capaci di celebrare un intero universo, quello del nostro Sud e in genere dei Sud del mondo, quasi sempre con la testa china pronti a sopportare, tranne qualche “atto di eroismo” come quello di Fava.
Tutto ciò è in perfetta sintonia con le musiche e i canti proposti e le scenografie scarne ma simboliche, che rivelano sicuramente l’arcano mistero dell’anima della gente del Sud. Qui la mafia agisce con tutta la sua ferocia, vengono messi in evidenza la passività e l’accettazione incondizionata dei protagonisti che considerano “questa entità superiore” un qualcosa di connaturato con l’essenza stessa di quella terra e di quella gente, violenza giustificata, quasi razionalizzata, per non parlare della viltà dei complici omertosi che ormai da millenni l’alimentano. E… per finire la rabbia dei sopravvissuti che con forza cercano di porsi quale “sfida civile e culturale”.
Per il regista “Ogni processo è un palcoscenico irripetibile”. E’ questo infatti ciò che intende portare in scena con “l’Istruttoria”, un atto unico dalla durata di circa un’ora, in cui sulla scena si incrociano discorsi che a volte appaiono sconnessi, destini e follia dei protagonisti, nel monitorare la realtà dal proprio punto di vista. Spesso viene data vita anche ai pensieri oltre che ai fatti, mescolando menzogne e verità. Il processo a Giuseppe Fava rivela un’umanità malata: mafiosi insolenti, testimoni vigliacchi, e investigatori indolenti, incapaci di sradicarsi da una cultura inferma.
Accanto a questi ignavi, il regista intende porre tutti coloro che non si piegarono, che conservarono intatta la memoria dell’accaduto e soprattutto del perché. Il testo di Claudio Fava va oltre ciò che è stato, i verbali, le udienze, va a scavare tra le carte trovando così le ragioni di un delitto e quelle più gravi dell’oblio.
Dietro un verdetto di condanna c’è sempre tanto, che gli atti processuali non riescono pienamente a rivelare soprattutto la rabbia di chi sopravvive, che non riesce mai a sviscerare del tutto la verità.
Un testo e una regia indovinati, apprezzabile la scelta musicale e scenografica per un “teatro-verità” realizzato con estrema fedeltà con tempi scenici adeguati.
Efficace ed incisiva la recitazione che ha tenuto il pubblico avvinto al palcoscenico per l’intera durata dello spettacolo.
Maria Caravella