Ci sono dentro tante cose che a ripensarle tutte sorprendono. Sarà questo il motivo per cui piace “L’uomo nero”, film presentato questa mattina a Bari dal regista-interprete Sergio Rubini, che ne firma anche la sceneggiatura con Domenico Starnone e Carla Cavalluzzi, e da alcuni attori del cast tra cui Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Vito Signorile e Mariolina de Fano.
Il racconto mette insieme il rapporto tra padre e figlio; la famiglia; il disperato bisogno di un uomo di veder riconosciuta la sua amatoriale vena artistica; il pregiudizio di una comunità gretta e ignorante; l’incapacità di riconoscere i meriti altrui; le paure; il mistero di immagini oniriche che sembrano volerci svelare qualcosa. Il titolo fa riferimento a tutto questo.
L’uomo nero è quel genitore cui il figlio si rifiuta di assomigliare perché imbarazzante, incomprensibile, poco partecipe nel ruolo di padre e marito perché troppo impegnato a fare l’artista. Si fa deridere dal paese, litiga con la moglie, non ha quell’autorevolezza che ogni figlio vorrebbe ritrovare nel proprio genitore. Il tutto ruota attorno a Gabriele, interpretato dal piccolo e spericolato Vito Giaquinto (in conferenza non è stato fermo e zitto un attimo), figlio del capo stazione Gabriele Rossetti (Sergio Rubini) e di un’insegnante (Valeria Golino).
Con loro vive anche lo zio Pinuccio interpretato da un brillante Scamarcio che si è divertito molto a interpretare il ruolo del “viveur di provincia”. La telecamera indugia spesso sul primo piano del bambino, vero autore del film, che con il suo sguardo limpido osserva da un angolo tutto quello che gli capita attorno per poi ritornare a giocare come tutti i bimbi della sua età. Ma l’uomo nero vuole essere anche altro. “Nel film – ha spiegato Rubini – ci preoccupiamo di far vedere l’uomo nero in una luce diversa. Gabriele Rossetti viene rivalutato quando il figlio ormai adulto (la parte viene interpretata da Fabrizio Gifuni, ndr) scopre un segreto che il padre ha tenuto nascosto per tanti anni.
photo Egidio Magnani
Questo è un punto cruciale perché il silenzio ascetico di quest’uomo, gli conferisce una virilità che sembrava non avesse”. E allora non fa più paura neanche il macchinista del treno che per tutta la durata del film è un mostro spaventoso perché tutto sporco e pieno di fumo. Quando si scopre che è lui a lanciare dal finestrino le caramelle agli orfanelli, l’uomo nero si riempie di luce.
Il film è ambientato in un piccolo paese della provincia. Le scene sono state girate tra Mesagne e San Vito dei Normanni ritornando in quei luoghi che hanno fatto da setting già per “La Terra”. Non si parli però di pugliesità. Sergio Rubini è stato chiaro al riguardo: “La Puglia per me è uno spazio mentale, non è uno spazio geografico. Il film tratta di un provincialismo che tutto trattiene ma non in una dimensione specificatamente pugliese. La dimensione è universale”.
photo Egidio Magnani
La vicenda si svolge negli anni ’60 quando “subito dopo la guerra – secondo il regista – c’è stata una fioritura di individui che hanno cercato di affrancarsi dalla massa. Purtroppo però non ci sono riusciti perché gli intellettuali non se ne sono occupati e oggi i loro eredi sono quelli che fanno i reality, convinti che meno sai fare, più puoi emergere”. Le musiche del film sono state composte da Nicola Piovani che dà il suo tocco personale a una storia ritenuta “pinocchiesca” per alcuni aspetti.
“C’è lo sguardo del bambino, c’è la figura di Lucignolo, quella del Gatto e la Volpe in cui si possono rivedere i personaggi di Vito Signorile e Maurizio Micheli e poi ci sono tanti punti di contatto tra il mio percorso artistico e quello fatto da Piovani”, ha detto Rubini citando i nomi di Benigni, Fellini e del maestro Nino Rota.
Daniela Vitarelli