Capurso (Bari) – Facile emozionarsi con il quartetto americano Manhattan Transfer

L’M.C. è la sigla del Festival locale di jazz, il “Multiculturita jazz Fest”, che si tiene a Capurso, annualmente, e che è giunto sotto la direzione artistica di Michele Laricchia coadiuvato da Alceste Ayroldi, alla sesta edizione.

Partito con Kekko Fornarelli, pianista barese, sempre come location il sagrato della Reale Basilica di Madonna del Pozzo, al quarto martedì del mese di luglio, ha visto la presenza dei Manhattan Transfer, tra i nomi più attesi della rassegna, a riprova di come questo kermesse sia opportunamente dedicata alla musica jazz.

Così, la celebre formazione americana è ritornata in terra pugliese, con un concerto in esclusiva per il Sud Italia; l’ultima volta furono visti al Teatroteam e, andando ancora più dietro con i ricordi a Lecce. Quando alle ventuno e trenta le luci si sono spente (per scongiurare un inizio di pioggia) e i musicisti del gruppo vocale per eccellenza, Yaron Gershovksy al pianoforte, John B. Williams al basso, Wayne Johnson alla chitarra e Steve Hass alla batteria si mettono in fila, è difficile non pensare al tempo che passa, vedendo Tim Hauser, Janis Siegel, Alan Paul e Cheryl Bentyne, apparire sul palcoscenico in un’ovazione di pubblico non particolarmente adulto, ma abbastanza chic e trendy, con qualche capello bianco e ruga in più.

Ma bastano le prime note e i primi vocalizzi delle belle e affascinanti premieres dames Bentynel e Siegel per capire che l’unica cosa che non è cambiata è il suono, la voce e, fare con la voce quelle certe scale da brivido: neppure la disco, il punk, l’hip hop sono riusciti a rendere marginale The Manhattan Transfer.

Facile emozionarsi con il quartetto americano, le loro canzoni, rivisitazioni in chiave jazzistica, come da kermesse, mantengono la forza e la dolcezza dei giorni in cui sono state riarrangiate. Nel jazz lo spartito è, infatti, relegato quasi in secondo piano e potrebbe, in taluni casi, anche non esistere od essere ridotto ad un canovaccio di accordi e melodie principali a partire dalle quali il musicista crea in estemporanea il senso peculiare ed irripetibile di ciascuna esecuzione, nella quale la traccia può essere talmente modificata da risultare finanche irriconoscibile rispetto all’originale od alle versioni precedenti che di tale origine sono state date.

E le immagini che The Manhattan Transfer, grandi artisti degli anni settanta, ottanta sanno evocare, sono immagini in un certo senso epiche. Hauser, Siegel, Paul e Bentyne, hanno dato emozioni di questo genere. Sono riusciti a operare collegamenti fra varie esperienze artistiche, a esprimere la sintesi di un movimento o di un periodo con una facilità e una naturalezza da incanto.

E anche se i Manhattan Transfer, evidentemente non sono più quelli di un tempo, la loro performance è durata all’incirca un’ora e mezza, anche se sono apparsi commossi dalle ovazioni e dall’affetto del pubblico, loro resistono pur sempre come leggenda e come mito. Piacevolissima serata, dunque, a Capurso, anche se il vento è fortissimo e le foglie dei platani frusciano con il suono del quartetto americano. Bisognerebbe usare un termine alquanto desueto per descrivere questa seconda serata del Multiculturita jazz festival; platea stracolma e applausi interminabili per i due, tre bis che i quattro hanno srotolato, neanche se di anni ne avessero trenta, cioè feeling.

Chiaramente non potevano mancare alcuni dei brani più noti del loro repertorio, da “Birdland” di Joe Zawinul a “The Boy from New York City”, fino agli amati temi brasiliani di Gil, Jobim e Nascimento. Stasera si replica con Lino Patruno & Jazz Moments e giovedì la Marcus Miller Band, inizio ore ventuno.

Anna Furlan