Caring Fabry: necessario un modello di presa in carico integrata per le persone con malattia di Fabry

Dall’Associazione Italiana Anderson-Fabry una survey sulla gestione della dimensione lavorativa, personale e sanitaria   Caring Fabry: necessario un modello di presa in carico integrata per le persone con malattia di Fabry   Per gestire le assenze dovute alla malattia, il 24,8% dei pazienti utilizza permessi non retribuiti, il 24,8% usufruisce di permessi retribuiti e il 23% ricorre alle ferie
26 giugno 2024 – Secondo un’indagine realizzata dall’Associazione Italiana Anderson-Fabry (AIAF-APS), sono circa 20 le giornate che, in media, una persona con malattia di Fabry perde ogni anno per recarsi in ospedale e sottoporsi a visite e terapie. Un dato già rilevato nel 2018 e riconfermato attraverso una survey più recente. Per questo oggi, a sei anni di distanza dalla prima rilevazione, prosegue e si rafforza l’impegno di AIAF nella definizione e diffusione di un sistema di presa in carico del paziente che consenta di abbattere al massimo questo dato. Trattandosi di una patologia multisistemica – con interessamento prevalente di sistema nervoso, reni e cuore – un investimento così importante in “giornate perse” deriva, nella maggior parte dei casi, dalla difficoltà di far combaciare appuntamenti con specialisti diversi. Da questa rilevazione di criticità è nato il progetto “Caring Fabry”, promosso da AIAF a partire dal 2018 e realizzato in collaborazione con la Società Helaglobe Srl, che ha proprio l’obiettivo di colmare la disparità tra bisogno di assistenza e attuale presa in carico, disegnando il modello ideale di presa in carico del paziente con malattia di Anderson-Fabry. In questo modo potranno essere ottimizzati i tempi e potrà essere migliorato il funzionamento degli attuali centri di cura. “Le persone con Malattia di Fabry hanno necessità di sottoporsi a numerose visite di controllo multidisciplinari, spesso organizzate in date diverse, che costringono a molteplici assenze dal lavoro o da scuola. A queste giornate, spesso si aggiungono ulteriori giornate di assenza per la gestione delle terapie, pari a 26 giorni annui per i pazienti in cura con la terapia enzimatica sostitutiva che non possono curarsi a casa. Anche la necessità di ritirare i farmaci in ospedale (spesso lontano da casa) per alcuni pazienti comporta ulteriori assenze dal lavoro. Tutte queste assenze comportano la necessità di fare ricorso a permessi, ferie o giorni di malattia al lavoro”, spiega Stefania Tobaldini, presidente AIAF. “Non solo – prosegue –, il problema si riversa molto frequentemente anche sulle famiglie, perché spesso si ha bisogno dell’accompagnamento da parte di un familiare”. Dalla più recente (2023) indagine, portata avanti nell’ambito del progetto, è emerso che la maggioranza (83,2%) dei partecipanti ha un centro di riferimento nella propria regione di residenza, mentre il 16,8% deve recarsi fuori regione. Solo il 10,6% riferisce che il proprio medico di medicina generale o pediatra è in contatto con il centro di riferimento. “La survey – illustra Davide Cafiero, Managing Director di Helalgobe – ha raccolto 113 questionari completi, su 177 partecipanti, i quali hanno evidenziato che il 30,1% dei rispondenti ha cambiato centro almeno una volta, principalmente per insoddisfazione verso il medico, il centro o la gestione delle visite (47,1%) e per motivi logistici (38,2%) come la distanza o il cambio di residenza”.
La necessità di dover fare ricorso a permessi o ferie è anche legata al mancato riconoscimento, per le persone con malattia di Fabry, di invalidità civile e benefici ai sensi della Legge 104/92. Secondo i dati raccolti, infatti solo al 9,7% dei rispondenti è stato riconosciuto lo stato di “persona con handicap grave”, Legge 104, l’unico che consente di accedere a un monte orario mensile di assenze, mentre per un ulteriore 15% lo stato riconosciuto è di “persona con handicap senza connotazione di gravità”. Inoltre, il 34,5% dei partecipanti non ha ottenuto il riconoscimento dell’invalidità civile, così come il 66,4% non ha ricevuto l’indennità di accompagnamento.
Per questo, per gestire le assenze dovute alla malattia, il 24,8% dei rispondenti utilizza permessi non retribuiti, un altro 24,8% usufruisce di permessi retribuiti e il 23% utilizza le ferie. Il 12,4% dei partecipanti si organizza fuori dall’orario di lavoro, mentre l’1,8% si avvale della Legge 104 per permessi specifici. La survey del 2023, inoltre, conferma dati già emersi dalla precedente del 2018: il 43% dei rispondenti ha dovuto ridurre le ore di lavoro, mentre il 28% ha sviluppato nuove abilità per adattarsi alla situazione. Un ulteriore 28% ha abbandonato l’attività lavorativa, e un 17% ha dovuto cambiare lavoro. Un’ottimizzazione della presa in carico e un maggior coordinamento dei diversi clinici coinvolti, dunque, potrebbe essere significativamente utile anche in termini di compensazione della mancanza di questo tipo di tutele. “I dati mostrano – spiega ancora Tobaldini – che il 27,3% dei pazienti, senza grosse differenze tra le regioni, deve contattare personalmente il centro di riferimento per prenotare le visite, ma che a variare sono soprattutto le modalità di prenotazione e prescrizione, con evidenti differenziazioni tra Nord e Sud. Al Nord, il 74,2% dei partecipanti riceve prescrizioni dal medico del centro di riferimento durante la visita, mentre al Sud questa percentuale scende al 31%. Il 48,3% dei pazienti del Sud riceve le prescrizioni dal medico di medicina generale o dal pediatra, rispetto al 16,1% al Nord e al 22,9% al Centro. Queste differenze regionali evidenziano una disparità nell’accesso alle prescrizioni mediche, con un maggiore coinvolgimento dei medici di base nelle regioni meridionali (probabilmente a compensare la minore organizzazione dei centri di riferimento)”. “La presa in carico da parte di un team multidisciplinare – spiega il prof. Federico Pieruzzi, direttore della S.C. di Nefrologia presso la Fondazione IRCCS Ospedale San Gerardo dei Tintori a Monza e coordinatore del Comitato Scientifico di AIAF – è uno degli aspetti più importanti nella gestione della malattia di Fabry. L’ideale è rappresentato dal paziente messo al centro di un gruppo di specialisti, possibilmente esperti della patologia, che sono in grado di monitorare i vari aspetti delle manifestazioni multisistemiche”.
Non a caso, i risultati della survey mostrano chiaramente che la disponibilità dei pazienti a sottoporsi a più accertamenti in un’unica giornata è alta. Il 63,7% si dichiara disposto a dedicare l’intera giornata (mattino e pomeriggio) e il 22,1% disponibile per l’intera mattinata. L’analisi statistica mostra che la disponibilità a più accertamenti in giornata non è correlata a variabili sociodemografiche o al numero di visite annue, ma è leggermente correlata al tempo di percorrenza per raggiungere il centro. In generale, i pazienti che impiegano meno tempo per raggiungere il centro sono più propensi a preferire accertamenti nella stessa giornata. “L’indagine ha evidenziato che i servizi considerati prioritari da almeno 3 rispondenti su 10 sono: l’avere il team multidisciplinare in un unico luogo, avere la prenotazione automatica delle visite, lo svolgere visite ed esami in un’unica giornata, poter interloquire con medici e infermieri, avere un facilitatore burocratico, avere la documentazione dettagliata per le richieste di invalidità”, aggiunge Stefania Tobaldini. “Abbiamo intenzione – conclude – di proseguire ulteriormente con il progetto per coinvolgere e sensibilizzare un numero significativo di centri italiani di riferimento per la patologia, al fine di arrivare a una standardizzazione della presa in carico che permetta di conciliare fattivamente la dimensione lavorativa, personale e sanitaria delle famiglie che convivono con la malattia di Fabry”.
IL CAMPIONE DEGLI INTERVISTATI La survey ha registrato 177 rispondenti.  I dati riportati fanno riferimento a 113 questionari completi e sono stati raccolti per analizzare l’accesso ai servizi, la distribuzione geografica e le caratteristiche demografiche dei partecipanti.
La maggior parte dei rispondenti proviene da Emilia-Romagna (22; 19,5%) e Lombardia (18; 15,9%), seguite da Lazio e Veneto con una percentuale del 11,5% ciascuno.
Il 90,3% dei rispondenti è una persona con patologia, mentre il 7,1% è un familiare di una persona minorenne con patologia.   AIAF – ASSOCIAZIONE ITALIANA ANDERSON-FABRY A.P.S. L’associazione AIAF APS non ha fini di lucro e si impegna per dare sostegno e tutela a pazienti e famiglie, affinché non si sentano soli a partire dal delicato momento della diagnosi, con l’intento di migliorarne la qualità di vita. AIAF offre supporto nella gestione delle problematiche correlate alla Malattia di Fabry in diversi contesti (sociale, psicologico, assistenziale e di tutela legale) e promuove interventi di informazione e sensibilizzazione al fine di aumentare la conoscenza di questa malattia rara e dei bisogni dei pazienti ad essa correlati. Elabora, promuove e realizza progetti nel campo socio-sanitario al fine di identificare i migliori percorsi di cura e di assistenza nella quotidianità. Insieme al proprio Comitato Scientifico, l’Associazione opera per la promozione delle più efficaci pratiche di diagnosi e cura finanziando la ricerca medico-scientifica, anche attraverso borse di studio finanziate attraverso raccolte fondi e il 5 per mille.