DRIFFest 2024 – I premi del festival e le incertezze sul futuro: “A festival chiuso non conosciamo il contributo della regione. C’è il rischio che sia l’ultimo anno”

Marco D’Amore @MARCOGHIDELLI

Resta la grande emozione dell’ultima serata con Matteo B. Bianchi e Marco D’Amore. Insieme alle immagini di un pubblico, sempre numeroso e appassionato, che ha seguito il festival lungo tutti i suoi 27 appuntamenti. È stata una lunga cavalcata, senza divi né tappeti rossi, quella della XV edizione del DRIFFest 2024, organizzato dalla Cooperativa Sociale “I Bambini di Truffaut”, iniziata l’11 giugno e conclusasi il 27 luglio, tra Bari, Mola di Bari, Giovinazzo, Sannicandro di Bari e le carceri di Turi e di Trani, nel segno dei più profondi romanzi e film in circolazione (con alcune significative incursioni teatrali).

 Il commento del direttore artistico Giancarlo Visitilli, presidente de “I Bambini di Truffaut”:

«Le file delle persone che comprano i libri, alla fine delle presentazioni coi loro scrittori e scrittrici. Le dichiarazioni delle decine di artisti, fra registi, attrici e attori, come quella dell’attrice Antonia Truppo: “io giro per festival, ma trovare un pubblico così attento e caloroso e che ha voglia di stare a discutere del film, dà l’impressione forte per chi viene al DRIFFest che qui fate le cose belle e seriamente: c’è poca frivolezza e tanta aria di verità. Questo festival è speciale. Vorrei tornarci”. Il cinema coi detenuti e le detenute. Il pubblico che ci segue e riempie in ogni piazza. È tutto il racconto utile che mi vien voglia di fare».

E prosegue, amaro: «Poi, a festival chiuso non sappiamo di che morte morire rispetto ai contributi della regione con il rischio che tutto ciò possa essere accantonato nel prossimo anno, perché non c’è un progetto politico-culturale che faccia sperare altro: è la parte peggiore per chi fa il mestiere di promuovere cultura, facendo “mangiare” anche una ventina di persone stipendiate per l’organizzazione. Oltre che a tutta l’economia che un festival come questo, per due mesi, muove in ogni comune. Così, da quindici anni. Forse l’ultimo? Chi lo sa…»

I Premi del DRIFFest 2024

Il pubblico ha emesso i suoi verdetti. Il Miglior libro è “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” (Terrarossa) di Michele Ruol. Il Miglior film della sezione I quattrocento colpi (opere dedicate a temi sociali) è L’invenzione della neve di Vittorio Moroni mentre a vincere come Miglior film nella sezione La terra vista dalla luna è Lubo di Giorgio Diritti. Il premio“Francesco Laudadio” al Miglior attore è andato a Simone Zambelli, una rivelazione nei panni di Arturo, nel film Misericordia di Emma Dante.

Il festival ha attribuito anche un Premio Speciale Autore a Marco D’Amore, «per distinguersi sempre, attraverso il suo cinema, nel racconto degli ultimi, e in modo particolare dei più piccoli e indifesi. Quelli a cui, di film in film, presta le sue parole e dal cui sguardo bambino scruta il loro mondo».    

Questa edizione di “Del Racconto, il Film” è sostenuta da Regione Puglia, da Apulia Film Commission, dai Comuni di Bari, Giovinazzo, Mola di Bari, Sannicandro di Bari, Carceri di Trani e Turi, dall’ufficio Garante dei diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale Regione Puglia, dal Teatro Pubblico Pugliese.

 
Info: 328/4071538 o su ibambiniditruffaut.com.

Miglior libro

Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (Terrarossa)

L’inventario di una indicibile mancanza. Intesa come ossessiva presenza. La cenere, sotto cui covano le braci che sedimentano solo ustioni. Originale, potente e di grande portata narrativa è il romanzo destinato a far parlare a lungo di sé. Non è soltanto la storia in sé che colpisce profondamente: in modo massiccio, la lava incandescente del romanzo è rappresentata dalla struttura narrativa e dalla scrittura, che sembrano colare lentamente, per solidificarsi e sedimentarsi nella testa e nel cuore del lettore che si fa depositario di una cenere che è spessa, nera come pece, ma ha anche la consistenza del biancore che purifica, risana. Cura. Perché la scrittura di Ruol è curativa: c’è un niente, che si fa assoluto e cura “I giorni più difficili erano le domeniche. Per quanto Padre si portasse del lavoro da finire, arrivava sempre il momento in cui si trovavano insieme, Madre e Padre, senza niente da fare”.

Miglior film: sez. I quattrocento colpi (film di carattere sociale)

L’invenzione della neve di Vittorio Moroni

A Vittorio Moroni, poeta e pedagogo, capace di raccontare i bambini, facendo entrare primavera. Conducendo il suo pubblico nella giungla abitata da bestie umane, Moroni pone il quesito se è necessario difendersi nella giungla o difendersi da essa? È fra le diverse specie di comportamenti, per lo più umani, che il regista accompagna lo spettatore nei mari, fra pesci e in cielo fra volatili inseparabili, per fare insieme l’esperienza della meraviglia, che quando arriva, si deposita fin nel più intimo di chi è capace di aspettare che qualcosa cambi. 

Miglior film: sez. La terra vista dalla luna

Lubo di Giorgio Diritti

Tornato, con tutta la sua potenza, uno dei registi di cui non si può fare a meno di distinguere il suo modo di fare cinema che ha a che fare con la poesia, prima di tutto. Insieme alla vita che la trapassa. Dopo aver raccontato, più volte, le vite di chi ha sempre scelto di nascondersi, per povertà, malattia, inadeguatezza, questa volta Diritti sceglie di raccontare Lubo Moser, un nomade del popolo Jenisch.

Diritti è un regista che denuncia ma senza mai alzare la voce: piuttosto è capace di scrivere poesia, mettendo a tacere le armi, le violenze, che ci sono e fanno rumore, ma sovrasta la poesia. Lubo, come Ligabue e tanti altri personaggi narrati dal cinema di Diritti, porta sul suo volto i segni di una Storia che sta accadendo oggi. L’attualità dei bambini che guardano il mondo, e quello che gli stanno consegnando gli adulti, in cui si rivendica, però che “la migliore educazione è amare”, fanno di questo film una pagina politica. Ormai, quasi solo al cinema viene detto a chiare lettere che “le guerre idiote, fatte da chi comanda, rubano la vita”. Quella dei bambini e delle bambine, prima di tutto, che durante una impressionante sequenza, sembrano rispondere a un appello muto: i loro volti appaiono quelli di palestinesi, israeliani, ucraini. Innocenti. Le loro voci assomigliano a quelle di fisarmoniche che riproducono solo il suono del vento, su cui gli uomini danzano la loro disperata danza e desiderio di libertà.

Miglior attore: Simone Zambelli, interprete di Arturo, nel film Misericordia di Emma Dante.

Arturo, nato fra madonne e mamme di giorno e puttane di notte, è un turbinio di esistenze, cresciuto a giri di maglia e amore. Arturo è un giullare, un ragazzino d’altri tempi, che non conserva più il verismo di Rosso Malpelo. Lui è un derviscio che, girando, tesse una tela solida, quella della comunità che lo custodisce come un’ostia. Fra il lirismo di Masaccio e la corporeità giottesca, Simone Zambelli è un’opera d’arte danzante. Un Cristo fra tante criste, capace di lasciare il segno di una morte e di una vita che non prevedono redenzione. Solo la bellezza di una vita vissuta, cullati dall’esperienza del mare ondoso e sempre capace di riportare a riva quello che mai avrebbe inghiottito per sempre. Simone Zambelli, in questo film di Emma Dante, è espressione pure di bellezza e di spiritualità, valori capaci di restituirci il senso e il segno della restituzione dell’umano.