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BARI – COLLEGIUM MUSICUM – Martedì 5 novembre concerto omaggio a Milan Kundera, con lo scrittore Nicola Lagioia, i solisti del Collegium e la Big Band “Pentagramma” diretta da Vito Andrea Morra
Novembre 5
Prosegue la ventinovesima stagione del Collegium Musicum, con un concerto dedicato al ricordo del grande scrittore e drammaturgo ceco Milan Kundera. Il Premio Strega Nicola Lagioia terrà una introduzione letteraria, in una serata in cui si esibiranno i solisti del Collegium, insieme alla Big Band «Pentagramma» diretta da Vito Andrea Morra.
Martedì 5 novembre, ore 20,30
Teatro Abeliano – Bari
Si intitola «Leggerezza nella vita e nell’arte» il concerto che prosegue la ventinovesima stagione concertistica del Collegium Musicum, diretta artisticamente dal maestro Rino Marrone: l’appuntamento è martedì 5 novembre, alle 20,30, al Teatro Abeliano di Bari (via Padre Kolbe 3) con un tributo al grande scrittore e drammaturgo ceco (naturalizzato francese) Milan Kundera, scomparso nel luglio 2023. L’intervento autorevole dello scrittore Nicola Lagioia, Premio Strega con «La ferocia», precederà un concerto con protagonisti i solisti del Collegium Musicum (Michele Bozzi al flauto, Giuseppe Giannotti all’oboe, Giambattista Ciliberti al clarinetto, Mauro Altamura al clarinetto basso, Fiorello Gaetano al fagotto, Antonio Fracchiolla al corno) e la Big Band «Pentagramma» diretta da Vito Andrea Morra: con musiche di Leoš Janáček («Mladì» per sestetto di fiati) e la suite dal balletto «Lo schiaccianoci» di Pëtr Il’ič Ciajkovskij, nell’arrangiamento per jazz band di Duke Ellington e Billy Strayhorn.
Info e prenotazioni: 340.499.38.26. Biglietti a 12 euro (intero), 9 euro (ridotto per over 65, studenti e disabili).
Nicola Lagioia terrà una prolusione dedicata all’arte letteraria di Kundera (1929-2023), che fin da piccolo studiò musica, in particolare pianoforte. Non a caso la passione per l’arte dei suoni tornerà spesso nei suoi testi letterari. Come ne «I testamenti traditi», dove lo scrittore cita una serie di opere dell’arte moderna «che hanno scoperto una inimitabile felicità dell’essere, felicità che si manifesta come euforica irresponsabilità della fantasia, come piacere di inventare, di sorprendere, finanche di scandalizzare con un’invenzione». Cita Stravinskij, l’ultimo Janáček, alcune composizioni di Milhaud e Poulenc.
«In questa enumerazione delle grandi opere della felicità – scrive Kundera -, non posso dimenticare il jazz. L’intero repertorio della musica jazz consiste di variazioni su un numero relativamente limitato di melodie. Ed è sempre possibile intravedere un sorriso che si è intrufolato fra la melodia originaria e l’elaborazione. I grandi maestri del jazz, che amavano, come Stravinskij, l’arte della trascrizione ludica, diedero versioni personali non soltanto dei vecchi song negri, ma anche di Bach, Mozart, Chopin; Ellington trascrive musiche di Ciajkovskij, e di Grieg, e, per la sua “Uwis Suite”, compone una variante di polka paesana affine, nello spirito, a “Petruška” di Stravinskij».
Nel brano di Janáček che aprirà l’impaginato, «Mlàdí, zlaté mlàdí» («Gioventù, dorata gioventù!») è il motto che, sotteso alla frase di sette note compresa nelle prime tre battute, costituisce non soltanto l’incipit della Suite per sei strumenti a fiato, ma anche il programma poetico interno alla composizione. Non vi è nulla di nostalgico in questa composizione che si maceri nel rimpianto per un tempo felice e perduto, ma semmai tutto un brillare e scintillare di ritmi, luci, colori e corpi, un traboccare di slanci gioiosi anche nel ripiegamento di fuggevoli, melanconiche rimembranze.
Quanto alla versione per jazz band della suite dal balletto «Lo schiaccianoci», si tratta di una sensazionale versione delle celebri pagine di Ciajkovskij, nella quale Duke Ellington ripensò in chiave personale l’opera amatissima del compositore russo, affidando gran parte degli arrangiamenti al suo braccio destro Billy Strayhorn, compositore tra i più autorevoli dell’intera storia del jazz. Chi conosce le opere originali si accorgerà che la musica è assolutamente lontana da un semplicistico ricalco in chiave jazz del balletto; si incontra qui un Ellington diverso, ma pur sempre riconoscibile, che utilizza materiali nuovi per creare la propria musica.