Questa mattina, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano è intervenuto in audizione alla Commissione Bilancio della Camera nell’ambito dell’esame del decreto legge 124/2023 recante disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione.
Di seguito, il testo dell’intervento integrale del presidente Emiliano:
“Il decreto legge in discussione interviene sul Fondo di Sviluppo e Coesione e istituisce la Zone Economica Speciale unica. Il testo presenta diverse criticità”.
“Una prima questione da evidenziare è che il decreto legge non garantisce assolutamente le Regioni dal punto di vista delle materie concorrenti. Come chiarito in più circostanze dalla Corte Costituzionale attraverso le sentenze 165 del 2005 e 232 del 2011, è assolutamente necessario il coinvolgimento delle Regioni laddove i procedimenti sono destinati a esplicarsi entro ambiti di competenza regionale concorrente o residuale. In particolare, la sentenza 232 è stata resa in un giudizio avviato proprio dalla Regione Puglia con un’impugnativa diretta innanzi alla Corte Costituzionale della legge n. 122 del 2010, articolo 43, relativo all’istituzione di zone a burocrazia zero nel Sud Italia. Nella sentenza si legge: ‘Condotta alla stregua di siffatto canone ermeneutico, l’analisi della norma censurata – che, come detto, possiede un campo di applicazione generalizzato (riferito a tutti i procedimenti amministrativi in tema di nuove iniziative produttive) e quindi idoneo a coinvolgere anche procedimenti destinati ad esplicarsi entro ambiti di competenza regionale concorrente o residuale – conduce a ritenere fondati i dubbi di legittimità costituzionale, in ragione della assenza nel contesto dispositivo di una qualsiasi esplicitazione, sia dell’esigenza di assicurare l’esercizio unitario perseguito attraverso tali funzioni, sia della congruità – ed questa è la cosa più importante – in termini di proporzionalità e ragionevolezza di detta avocazione rispetto al fine voluto ed ai mezzi predisposti per raggiungerlo, sia della impossibilità che le funzioni amministrative possano essere adeguatamente svolte agli ordinari livelli inferiori’”.
“Un secondo punto è che il decreto stabilisce una concentrazione di poteri per certi versi mostruosa e unica nella storia della Repubblica tra Fondo di Sviluppo e Coesione, ZES, aree interne e PNRR, e lo fa con il modello degli Accordi per la Coesione, delle Cabine di regia e degli Accordi di programma-quadro, che sono una sovrapposizione dei Patti regionali che concludemmo con il governo Renzi e che hanno avuto un risultato disastroso, soprattutto per una ragione: questi accordi, infatti, hanno visto le Amministrazioni centrali con una performance di efficacia nella spesa pari alla metà di quello delle Regioni. Questi elementi dovrebbero indurre il Parlamento a ritenere che questi modelli siano assolutamente sbagliati”.
“Il terzo punto, strettamente collegato a questo aspetto, è quello delle tipologie di investimento che possono essere promosse con le risorse dell’FSC. Sin dalla sua nascita nel 2003 – allora si chiamava FAS – la destinazione delle risorse è da sempre stata prevista nei medesimi ambiti di intervento delle politiche comunitarie, in particolare dei Fondi strutturali per rafforzare gli obiettivi di coesione e di riduzione dei rivali strutturali interni. Questa decisione corrisponde alla cosiddetta addizionalità dell’investimento nazionale rispetto a quello europeo. Come potrete verificare, non c’è mai stata nessuna distinzione tra gli interventi per investimento e quelli per la spesa corrente con riferimento alle infrastrutture non materiali, che sono essenziali soprattutto per le regioni del Mezzogiorno, che hanno problemi di bilancio ordinario molto pesanti. Non c’è solo la violazione della legge 34/2019, che definisce l’utilizzo dell’FSC, ma viene meno soprattutto la funzione di complementarietà del FSC rispetto ai Fondi europei. Questi elementi ci fanno ritenere che sia probabilissima un’impugnativa generalizzata da parte delle Regioni delle delibere Cipess in violazione della legge 34, oltre che rilevanti aspetti che incidono sul cofinanziamento”.
“Un quarto rilievo riguarda l’istituzione dei meccanismi sanzionatori dal punto di vista della decurtazione di risorse economiche, che nulla hanno a che vedere con gli obiettivi di accelerazione e messa a terra dei progetti finanziari. Laddove concretamente applicati, tali meccanismi determinerebbero unicamente consistenti debiti fuori bilancio a carico dei già sofferenti bilanci regionali. In altri termini, si scarica sugli enti locali – che hanno strutture burocratiche che lo stesso decreto riconosce come particolarmente deboli, ma senza colpa – ogni ritardo anche sul fondo di sviluppo e coesione. Questa circostanza, evidentemente, non favorisce la spesa. Sembra che la mentalità che presiede il decreto non sia quella di favorire l’effettuazione degli investimenti materiali e immateriali per il recupero del differenziale di sviluppo tra nord e sud, quanto piuttosto di creare una specie di gara a ostacoli che non considera le condizioni obiettive nelle quali i soggetti attuatori si trovano in questo in questo meccanismo”.
“Quinto punto. Un’ulteriore conferma di questo impianto complessivo, che anziché accelerare appare destinato a produrre rallentamenti e criticità non solo di ordine finanziario, deriva da quanto disposto al comma 3 dell’articolo 1, che prende in considerazione le eventuali modifiche degli accordi sottoscritti. Se infatti risulta condivisibile la circostanza in base alla quale una modifica del volume complessivo delle risorse di ciascun accordo sia approvato dal Cipess, non si capisce per quale motivo la stessa procedura – ovvero una nuova approvazione in sede Cipess – debba risultare necessaria nei casi in cui venga prevista una semplice modifica di alcune voci finanziarie interne”.
“Punto sei. Un ulteriore aspetto di particolare rilievo risulta quello trattato dall’articolo 1 comma 5 relativamente all’utilizzo di una quota delle risorse dell’FSC per assicurare il cofinanziamento regionale dei programmi dei Fondi strutturali. Il comma in questione lascia invariata l’impostazione della normativa precedente, limitandosi a definire che la quota dell’FSC per il cofinanziamento viene definita nei singoli accordi e non più previa deliberazione del Cipess, mentre non accoglie le numerose e unanimi richieste delle Regioni che hanno chiesto di poter utilizzare una parte dell’FSC per finanziare l’intera quota di cofinanziamento regionale per tutti i programmi europei. Questo è un tema fondamentale per sostenere i bilanci regionali fortemente in sofferenza per le ingenti risorse impiegate durante l’emergenza sanitaria”.
“Un altro tema molto importante introdotto dal decreto e non condivisibile riguarda la nuova governance assegnata alla Strategia nazionale per le aree interne. Pur essendo quello delle aree interne uno strumento di sviluppo locale, il decreto pone un forte accentramento dell’amministrazione nazionale istituendo una cabina di regia che assegna un ruolo assolutamente marginale alle regioni”.
“Punto otto. Il modello di governance e la riforma delle ZES come delineata dal Capo III, presenta numerosi punti di criticità. In via generale, pur essendo indubbio che l’istituzione di ZES possa rappresentare un vantaggio competitivo per il Mezzogiorno, l’inversione di tendenza del modello organizzativo porta con sé una serie di rischi concreti. Le ZES, sostanzialmente, anziché accompagnare le strategie di sviluppo locale secondo la logica dei Fondi europei, del Fondo di Sviluppo e Coesione, introducono una variante centralizzata che non ha punti di contatto e di coordinamento con le politiche locali”.
“Punto nove. Molte delle considerazioni fatte nei punti precedenti in ordine alle competenze e al coinvolgimento delle Regioni determinano un’incertezza assoluta sulle questioni che riguardano la ZES. In particolare, con riferimento all’organizzazione, l’articolo 10 comma 3 prevede che la struttura di missione ZES definisca in raccordo con le amministrazioni centrali competenti le attività necessarie a promuovere l’attrattività della ZES unica per le imprese. È necessario evidenziare tuttavia che le politiche di attrazione degli investimenti ricadono su singole collettività locali e su specifici territori, rendendo pertanto necessario il coinvolgimento anche delle amministrazioni territoriali, e non solo di quelle centrali poiché può ritenersi materia concorrente Stato-regioni. Quindi, anche in questo caso, la forma attuale del decreto legge è prodromica a impugnazioni rilevanti. Aggiungiamo che l’accentramento dello Sportello Unico Digitale delle ZES delle competenze in relazione ai vari procedimenti amministrativi – tra i quali quelli inerenti le attività economiche e produttive – senza tenere conto delle procedure speciali previste dalle norme regionali alimenta un clima di incertezza che potrebbe rallentare anziché agevolare l’avvio di nuove imprese”.
“In sintesi, dal punto di vista delle intenzioni, noi giudichiamo condivisibile il decreto in discussione. Appare logico, infatti, provare a coordinare tutte le linee di finanziamento esistenti. Quello che non ci appare logico è che questo lavoro – che in passato è sempre stato effettuato dalle Regioni in collaborazione col governo – debba adesso passare attraverso un ingorgo istituzionale e di potere della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che non mostra di avere le strutture sufficienti al riordino, alla gestione e allo svolgimento della complessità delle materie. Questa situazione ha già determinato un blocco di tutte le linee di investimento e penso che abbia dato un buon contributo al crollo del PIL e della produzione industriale. In Puglia, più di cinquemila aziende attendono un finanziamento che ancora non arriva”.
“Voglio aggiungere che gli attuali sistemi di monitoraggio della spesa del Fondo di Sviluppo e Coesione sono estremamente farraginosi. Ci sono schede di monitoraggio che, qualche volta, arrivano anche a trenta punti di dati richiesti e che, laddove anche solo uno di questi punti non fosse adeguatamente compilato dai Comuni – che sono i soggetti deputati a fare questo lavoro e che hanno grandissime difficoltà per questioni di personale – rischierebbero di dare come ‘non effettuati’ gli investimenti del Fondo di Sviluppo e Coesione. Per nove mesi, abbiamo dovuto dialogare con il ministro Fitto e con la sua struttura per spiegare loro che tutti i dati di cui disponevano erano sbagliati ed erano completamente fuorvianti”.
“Non capiamo come mai la ristrutturazione completa della governance dell’FSC e dell’insieme di queste manovre non sia passata dall’individuazione di un sistema di monitoraggio più preciso, più semplice e soprattutto più utile a prendere decisioni. L’attuale sistema – lo ribadiamo – è fuorviante e rischia di determinare decisioni sbagliate da parte del ministero. Per esempio, il ministero era convinto che la Puglia – che è la prima regione italiana nella capacità di spesa dei Fondi europei – fosse molto indietro sull’utilizzo del Fondo di Sviluppo e Coesione. Come noto, si tratta di una cosa non vera perché, mentre con la spesa POR siamo al 96% con scadenza al 2027, per l’FSC – che non ha scadenza – siamo già oltre il 48% di spesa effettiva. In realtà, sia con il POR che con l’FSC, abbiamo già impegnato il 100% delle risorse. Questi dati risultavano inferiori alla struttura del ministro Fitto, il quale, evidentemente, sta prendendo decisioni assolutamente alla cieca”.