La pietra è custode di segni: strati e sedimentazioni svelano il tempo, ogni scavo, è una scoperta, come se nel Salento, le pareti delle cave e poi le lastre bianche di lecciso, fossero la pagina di un atlante da attraversare in un immaginario viaggio.
In “Portrait – un’indagine tra corpo e materia”, collezione di opere di Giuseppe Pappadà, le andature delle linee incise su “fogli” di pietra leccese, svelano dei ritratti, un immaginario intimo e personale, uno scavo tutto immaginifico da indagare nel vissuto dell’autore. Per l’artista la pietra è parte della sua vita, egli è cresciuto nella vastità delle cave che circonda la città dove ha vissuto, Cursi, dov’è possibile – se si è capaci di sostare negli sprofondi della terra al cospetto dei grandi tagli che segnano il paesaggio – trovare il senso dell’origine della terra salentina, il suo antico mare e la sua più segreta natura, la sua essenza, la sua “astrazione”.
Tagli, fenditure, ricami sono elementi insiti alla visione per Giuseppe Pappadà, elementi di una passione per la pietra che lo ha colto bambino. Oggi, architetto, vive e lavora a Milano dove ha fondato, con Paolo Pozzoni e Linda Verzeletti, “Archɛtipo, collettivo d’Arte, Architettura e Design”.
“Portrait – un’indagine tra corpo e materia” è la sua prima collezione, in mostra, a partire da venerdì 25 agosto, alle 19.00, negli spazi della Biblioteca Bernardini, nell’ambito delle iniziative dello “Stone Landscape Festival – New stories for Mediterranean quarries” tenutosi negli scorsi mesi nei luoghi e nelle città elettive dell’astrazione della pietra in Puglia.
«Una autoriale calligrafia del vissuto” così Francesco M. Rossetti definisce il lavoro di Pappadà, in una nota contenuta nel catalogo, a cura di Cristina De Paola, che accompagna la mostra. “Il fascino della sua opera – scrive – risiede nel suo straordinario talento introspettivo, vocazione che gli permette di portare alla luce le qualità più intime della persona, trasformando ogni singolo ritratto in un dialogo con il proprio specchio interiore, di confessione, di memoria».
«A prima vista, la serie “Portrait” – scrive Aesther Chang – può sembrare sfuggente e difficile da afferrare. Osservandola attentamente però si può riconoscere un’espressione ricca, genuina e profonda che può essere colta fino in fondo solo da coloro che sono disposti a trascorrere del tempo con le sue. (…) La semplicità delle opere di Pappadà ci invita a immergerci più a fondo e ad espandere le nostre nozioni di ritrattistica attraverso l’atto del rispecchiamento e dell’autoriflessione; ci chiede di essere coraggiosi riguardo alle possibilità di ciò che potremmo scoprire lungo la strada e ci sfidano a guardare senza paura».
Ancora, nel catalogo, leggiamo ciò che scrive Viola Moschettini: «Pappadà compie un viaggio lungo le modalità con cui i Maestri della storia si sono ritrovati a cercare di esprimere un concetto puro, privato da ogni carattere superfluo. La sua ricerca mira ad un risultato impossibile da cogliere ad un’immediata percezione. Come tutto ciò che è autentico e privo di canoni di forma, le sue incisioni divengono frutto di un movimento che risponde solo a natura e tacita riflessione. La luce diviene elemento fondamentale della composizione, regalando un diverso impatto negli occhi dello spettatore a seconda del riflesso creato da profondità che appaiono differenti a seconda dell’angolazione da cui ci si soffermi su ciascun ritratto”. (…) “La pietra è leggera, la luce pesa” scrive in proposito lo stesso artista, sottolineando l’importanza del ruolo attribuito a questo elemento, capace di svelare e raccontare il pensiero e la storia celati dietro a ciascun ritratto. Frammenti di vita ed interiorità, messi in luce a servizio dell’Arte».
Giuseppe Pappadà (Maglie, 1993) nasce in provincia di Lecce e fin dall’età di cinque anni inizia a coltivare la sua passione per l’utilizzo e la lavorazione della pietra locale. Nel 2012 si trasferisce a Milano per approfondire i suoi studi in Architettura presso il Politecnico, conseguendo una doppia laurea triennale ed una magistrale con il massimo dei voti e la lode.
Dal 2020 lavora presso il Laboratorio Prove Materiali del Politecnico di Milano. Nel 2022 insieme all’Arch. Paolo Pozzoni e l’Arch. Linda Verzeletti fonda “Archɛtipo, collettivo d’Arte, Architettura e Design” conseguendo riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale.
Nel 2021 consegue una menzione speciale come “most innovative proposal” al concorso internazionale d’architettura “ReUse the Fallen Church” per la progettazione di una sala concerti all’interno della Chiesa Diruta a Grottole.
Nel 2022 è nominato tra i 10 finalisti del “Premio Maggia”, premio biennale di Architettura creato dalla Fondazione Sella con il patrocinio di Casabella, volto alla promozione dei migliori progettisti emergenti under 30, in ricordo dell’architetto Federico Maggia. L’opera proposta, dal titolo “MANIFESTO” indagava la relazione tra Architettura e Territorio, tema dell’edizione del Premio, ed è stata realizzata all’interno dei Giardini di Città dell’arte nella fondazione di Michelangelo Pistoletto. Dal 2018 collabora con Architetti ed Artisti in tutto il mondo e da quel momento pone le basi per la sua prima collezione d’arte intitolata PORTRAIT.