Sono stati diffusi oggi i risultati della 166ª edizione dell’Indagine congiunturale di Federmeccanica sull’Industria Metalmeccanica – Meccatronica italiana. I cali di produzione registrati dall’industria nel suo complesso nella seconda parte del 2022, stanno avendo ripercussioni anche in questa prima parte del 2023, evidenziando un rallentamento della produzione che risulta diffuso a quasi tutti i settori industriali.
Nei primi tre mesi dell’anno in corso, a fronte dei risultati negativi fatti registrare dall’intero comparto industriale, nel settore metalmeccanico l’attività produttiva, seppure con segno positivo nel confronto tendenziale, risulta in attenuazione per quanto riguarda la dinamica congiunturale. Nel primo trimestre del 2023, infatti, la produzione metalmeccanica evidenzia un incremento del 2,2% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, ma si conferma sugli stessi livelli dell’ultimo trimestre del 2022 quando la variazione congiunturale era contenuta in un +0,2%. Malgrado i buoni risultati registrati soprattutto per i comparti dei Mezzi di trasporto e delle Macchine e apparecchi meccanici, occorre ricordare che il settore metalmeccanico è un settore industriale molto eterogeneo perché comprende al suo interno una vasta gamma di attività produttive molto differenziate tra loro. Pertanto, nell’ambito dell’aggregato in questi primi tre mesi dell’anno in corso si sono osservati risultati tendenziali contrastanti nei diversi comparti. Agli incrementi di produzione registrati dagli Altri mezzi di trasporto (+13,3% rispetto allo stesso trimestre del 2022), dagli Autoveicoli e rimorchi (+5,1%), dalle Macchine e apparecchi meccanici (+4,9%) e dai Computer, radio TV, strumenti medicali e di precisione (+4,2%) si sono contrapposte soprattutto le contrazioni nelle attività della Metallurgia (-7,2%), mentre più contenute sono state le perdite di produzione registrate nelle fabbricazioni dei Prodotti in metallo (-1,7%) e delle Macchine e apparecchi elettrici (-1,2%). Nel confronto europeo, nel periodo gennaio-marzo 2023, la produzione metalmeccanica nel nostro Paese si colloca su livelli inferiori rispetto ai principali paesi della UE, in termini sia tendenziali sia congiunturali. Con riferimento all’interscambio commerciale del settore, sempre nel primo trimestre dell’anno in corso, le esportazioni sono aumentate del 7,8%, nel confronto con l’analogo trimestre del 2022, e le importazioni in misura più contenuta e pari al 4,4% determinando un saldo attivo di poco più di 10 mld di euro. Occorre sottolineare che gli incrementi dell’interscambio in valore sono stati influenzati dalla crescita dei valori medi unitari.
Nel periodo, tuttavia, la dinamica delle quote di fatturato destinate ai mercati esteri, pur confermandosi positiva, ha evidenziato un significativo rallentamento rispetto a quanto rilevato negli ultimi tre mesi dello scorso anno. Il Vicepresidente di Federmeccanica, Diego Andreis, ha commentato: «In un quadro ancora molto incerto registriamo una riduzione della propensione agli investimenti rispetto alle rilevazioni precedenti. Le nostre aziende hanno fino ad oggi mostrato una grande resilienza, anche inaspettata per certi aspetti, avendo continuato ad investire in maniera significativa nonostante la contrazione dei margini dovuta all’incremento dei costi delle materie prime e dei prodotti energetici. Lo avevamo già previsto e purtroppo oggi troviamo delle conferme nei dati della congiunturale. Le nostre imprese non possono essere lasciate da sole o comunque senza strumenti adeguati in uno scenario profondamente mutato con costi stabilmente più alti. Abbiamo voluto anche analizzare gli impatti degli incentivi esistenti soprattutto con riferimento agli investimenti in ricerca e sviluppo. C’è ancora molto da fare nel momento in cui tante imprese ci riferiscono che non li hanno utilizzati perché non rispondenti alle loro esigenze ed altre a causa delle difficoltà burocratiche. Serve un confronto costante con il mondo delle imprese per comprendere appieno quali sono le misure di supporto più efficaci e per mettere in campo strumenti facili da utilizzare. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo.»
Le prospettive a breve emerse dall’indagine condotta presso un campione di imprese metalmeccaniche associate, confermano un dato positivo, sebbene in attenuazione, della fase congiunturale già osservata sul finire dello scorso anno: Il 29% (erano il 33% a fine dicembre) delle imprese intervistate si dichiara soddisfatto del proprio portafoglio ordini. Il 30% (in salita dal 28% scorso) prevede incrementi di produzione a fronte del 17% che pronostica riduzioni. Il 20% (contro il 22% della precedente rilevazione) ritiene di dover aumentare, nel corso dei prossimi sei mesi, gli attuali livelli occupazionali.
Si attenua la quota di imprese che valuta cattiva o pessima la situazione della liquidità aziendale (8% rispetto al precedente 10%) ritornando così sui livelli dello stesso trimestre dell’anno precedente. Il sentiment delle imprese rimane ancora condizionato dalle conseguenze economiche e umanitarie del prolungamento del conflitto russo-ucraino che impatta sui prezzi delle materie prime energetiche e non, rendendo più complessa e onerosa l’attività produttiva delle imprese.
Il Direttore Generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, ha aggiunto: «Si può dire che stiamo producendo a caro prezzo. Infatti, ancora una volta i dati della nostra indagine congiunturale evidenziano una situazione che sembra essere diventata strutturale, una nuova normalità nella quale i costi sostenuti dalle imprese si sono assestati su un livello di circa 20 punti percentuali superiori a quelli che venivano sostenuti nella fase antecedente ai grandi stravolgimenti iniziati con la pandemia e poi proseguiti con la guerra e le altre dinamiche del commercio mondiale. Quando si dice che niente sarà più come prima forse si inquadra bene la realtà con cui dobbiamo e dovremo confrontarci. La contrazione dei margini che le nostre aziende stanno vivendo da tanto, troppo tempo non può che ripercuotersi sulle prospettive delle nostre imprese. È necessario tener conto di questo scenario per definire in maniera consapevole e responsabile le azioni da intraprendere ad ogni livello. Si tratta di fattori determinanti per le aziende del nostro settore, che già stanno impattando negativamente sulla competitività dell’Italia nel confronto con le dinamiche dei Paesi a noi vicini come Germania, Francia e Spagna. Invertire la rotta diventa determinante per intraprendere un percorso di crescita. Ognuno deve fare la sua parte. Noi come sempre lo faremo».
Per la 166a Indagine Congiunturale, Federmeccanica ha realizzato due focus specifici sui quali interviene il Presidente della Sezione Metalmeccanica Impiantistica di Confindustria Lecce Antonio Italo Pisanò: “per il Focus sulle attività di investimento, la quota di imprese rispondenti che prevede di attuare forme di investimento nei prossimi sei mesi è diminuita rispetto allo scorso trimestre passando dal precedente 70% al 67%. Con riferimento alle tematiche ambientali, sale al 66% la percentuale di casi in cui le attività di investimento avranno ricadute positive sia sul risparmio energetico sia sulla sostenibilità ambientale. Similmente, aumenta, raggiungendo l’11%, la quota di imprese che si focalizzerà solo riorganizzazione del processo produttivo e/o adozione di nuovi modelli di produzione; utilizzo materie prime seconde (es. recupero e riutilizzo scarti del processo produttivo); contenimento emissioni atmosferiche; riutilizzo/riciclo acque di scarico; ecc. Il restante 23% invece punterà principalmente sul risparmio energetico. Per quanto riguarda le altre aree di investimento, per il 28% saranno destinate al capitale fisso (capannoni, macchinari ecc.), per il 26% alla tecnologia e digitalizzazione (es. Industria 4.0). A seguire troviamo investimenti per la formazione (20%) e per la ricerca e sviluppo (17%); per l’internazionalizzazione, intesa come accesso ai mercati esteri e sviluppo dell’e-commerce, l’incremento è stato del 6%, mentre il 3% è destinato ad altre allocazioni. Con specifico riferimento agli investimenti in Ricerca & Sviluppo, sono state pari al 43% le imprese che hanno già usufruito degli incentivi destinati a tale spesa, e di queste, la quasi totalità (91%), è ricorsa al credito d’imposta, il 7% alle misure a sostegno della R&S previste dal PNRR e il restante 2% ad altre tipologie di incentivo. Tra le motivazioni che, invece, hanno portato il 57% delle imprese partecipanti all’indagine a non usufruire degli incentivi per la spesa in R&S vi è soprattutto la mancata rispondenza alle esigenze aziendali, mentre difficoltà burocratiche nella fase d’accesso/istruttoria sono state segnalate nel 19% dei casi”.
Il secondo Focus è relativo all’impatto del rincaro dei prezzi delle materie prime e del conflitto russo-ucraino. Il presidente Pisanò conclude in proposito: “Nel primo trimestre del 2023 la percentuale di imprese sofferenti per i costi dell’energia si conferma elevata e pari al 72%. Tale situazione, nel 44% dei casi ha comportato la riorganizzazione del lavoro e/o dell’attività produttiva, nel 23% si è verificata una riduzione dell’attività di investimento, mentre per poco più di un terzo ha indicato altre conseguenze. La percentuale di imprese che ha indicato come possibile conseguenza l’interruzione dell’attività aziendale è, invece, diminuita passando dall’8% della scorsa indagine all’attuale 3%. L’andamento dei prezzi delle materie prime energetiche e non continua a ripercuotersi su quelli alla produzione. Nel settore metalmeccanico, che risulta il maggior utilizzatore di metalli, nel primo trimestre 2023, i prezzi alla produzione sono aumentati in termini tendenziali del 4,2%. Tali dinamiche hanno un impatto negativo sulla competitività di molte imprese con ricadute sui margini di profitto già condizionati dai costi dell’energia: il 57% delle imprese ha registrato una riduzione del Margine Operativo Lordo. Il 40% delle imprese partecipanti all’indagine sta ancora risentendo degli effetti del conflitto russo-ucraino: il 63% prevede una contrazione dell’attività produttiva, mentre il 9% prospetta la riduzione dell’attività di investimento; l’1% corre il rischio di doverla interrompere e nel 25% dei casi si sono verificati altre conseguenze”.