LIFE SUPPORT, EMERGENCY: CONCLUSO A BRINDISI LO SBARCO DELLE 118 PERSONE SOCCORSE

EMANUELE NANNINI, CAPO MISSIONE DELLA LIFE SUPPORT: “I SOPRAVVISSUTI SONO MOLTO PROVATI DAL VIAGGIO MA STANNO BENE, ALCUNI DI LORO HANNO SUBITO VIOLENZA E TORTURE IN LIBIA” 

ROSSELLA MICCIO, PRESIDENTE DI EMERGENCY: “VISTO DAL PONTE DELLA LIFE SUPPORT L’ACCORDO SIGLATO DA ITALIA E ALBANIA SEMBRA ANCORA PIÙ CRUDELE E INSENSATO” 

UN RAGAZZO SIRIANO A BORDO: “SPERO DI RIUSCIRE A LAVORARE NEL CAMPO UMANITARIO ANCHE IN EUROPA, È IL MIO SOGNO PIÙ GRANDE” 

Alle ore 9.20 di sabato 11 novembre, la nave Life Support di EMERGENCY ha terminato presso la banchina Montecatini del Porto di Brindisi lo sbarco delle 118 persone tratte in salvo in due distinti interventi nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale

I naufraghi sono finalmente al sicuro a terra, ma sono servite oltre 48 ore di navigazione con mare mosso per arrivare al Place of safety (POS) assegnato alla Life Support a conclusione dei due soccorsi.  

Tutti i sopravvissuti soccorsi stanno bene, sicuramente sono molto provati dal viaggio, tra di loro ci sono dei casi abbastanza sensibili di persone che hanno subito violenza e torture in Libia che speriamo vengano presi in cura dalle autorità locali – spiega Emanuele Nannini, Capomissione della Life Support -. Le operazioni di sbarco sono andate molto bene grazie alla cooperazione con la Capitaneria, l’Usmaf e tutti gli enti locali. Nei prossimi giorni la Life Support si preparerà per la nuova missione, che speriamo possa partire a metà della prossima settimana”. 

I due barchini soccorsi erano fragili e sovraccarichi, non adatti ad affrontare la traversata del Mediterraneo tanto più nelle condizioni meteo date ed erano in mare partiti da Bengasi, in Libia, rispettivamente da 48 e 72 ore prima che la Life Support venisse loro in aiuto.  

Vengo dal Tigray, in Etiopia, sono fuggito dal mio paese per colpa della guerra – racconta F. L., un ragazzo di 21 anni – da più di un anno nella mia regione c’è l’obbligo di arruolarsi per almeno un membro della famiglia, anche le donne, altrimenti si viene uccisi. Nella mia famiglia siamo rimasti solo io e mia madre, quindi lei mi ha detto di andarmene prima che venissero le milizie a cercarmi. Sono prima scappato a Addis Abeba, ma lì non potevo studiare o lavorare perché se avessero scoperto che ero del Tigray mi avrebbero imprigionato e rimandato indietro. Quindi sono fuggito in Sudan e poi in Libia, dove ho passato otto mesi in carcere. A volte ci appendevano per i piedi e ci picchiavano con dei tubi, chiamando le nostre famiglie per fargli sentire le nostre urla e farsi mandare i soldi del riscatto più velocemente. Mia madre ha dovuto vendere il suo appartamento per liberarmi. Vorrei solo arrivare in Europa e vivere una vita dignitosa e libera.”  

Me ne sono andato dalla Siria nel 2017, la vita era molto difficile e non potevo continuare a lavorare lì – spiega A. N., un ragazzo di 25 anni siriano –. C’è molta instabilità nel mio paese, è davvero pericoloso: c’è la guerra, puoi venire rapito o ucciso in qualsiasi momento senza motivo. Quindi me ne sono andato, prima in Sudan e poi in Libano, per cercare una vita migliore, ma non riuscivo a guadagnarmi da vivere per le condizioni economiche di questi paesi. Ho lavorato per la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa, era un lavoro che mi appassionava molto ma ho dovuto lasciare anche il Libano per la crisi economica che ha colpito il paese negli ultimi anni. Quindi sono andato in Libia, ma lì non sono riuscito a entrare nella Croce Rossa perché ero straniero, venivo discriminato quotidianamente perché siriano. Allora ho preso una decisione estrema: partire con la barca per l’Europa. La seconda volta che ci ho provato ce l’ho fatta, anche grazie a voi. Spero di riuscire a lavorare nel campo umanitario anche in Europa, è il mio sogno più grande.” 

Tra le 118 persone soccorse ci sono 4 minori non accompagnati, di cui una ragazza. Provengono da Eritrea, Etiopia, Sudan, Bangladesh, Pakistan, Siria, Egitto e Palestina. Tutti questi Paesi presentano condizioni di crisi, tra cui guerre, disastri ambientali e climatici, e forti instabilità politiche. 

Visto dal ponte della Life Support l’accordo siglato da Italia e Albania sembra ancora più crudele e insensato – commenta la Presidente di EMERGENCY Rossella Miccio -. Abbiamo già avuto tantissime prove che l’esternalizzazione delle frontiere non porta a nulla, lo abbiamo visto con la Turchia, con la Libia, adesso si prova con la Tunisia, ora quest’ultimo accordo poco chiaro con l’Albania. Noi pensiamo che invece di attaccare continuamente il diritto di asilo, che è un fondamento della cultura italiana ed europea, dovremmo impegnarci ed usare risorse per garantire vie legali sicure, missioni di soccorso europee e soprattutto per garantire un’accoglienza dignitosa alle persone che scappano da guerra e povertà e vengono in Europa”.  

Con questo sbarco, la Life Support conclude la sua quattordicesima missione nel Mediterraneo Centrale. In mare da dicembre 2022, la nave Sar di EMERGENCY ha tratto in salvo sinora 1.198 persone.