Il volume oggetto dell’odierna pubblicazione non è altro che lo studio storico-bibliografico fatto eseguire in occasione del concorso bandito dal Ministero dei Lavori Pubblici per la redazione di un progetto concernente la sistemazione, l’utilizzo ed il restauro urbanistico-ambientale dei rioni Sassi di Matera e del prospiciente altopiano murgico quale zona di interesse storico, archeologico, artistico, paesistico ed etnografico, di cui alla legge 29-11 -1971 n. 1043.
Il fascicolo elaborato dal Prof. Manfredo Tafuri, con la collaborazione del prof. Amerigo Restucci, contiene una precisazione, voluta probabilmente dal Ministero e dalle autorità locali del tempo, che non riscontriamo in altri fascicoli che accompagnano i materiali del concorso. La precisazione sta a significare, verosimilmente, una presa di distanza dal pensiero e dal punto di vista espresso dall’autore.
Si precisa che la lettura storica dei Sassi, proposta dal prof. Tafuri “… non vuole rappresentare in alcun modo il pensiero e gli orientamenti della Commissione preposta all’esame del concorso stesso”.
Il lettore di questo saggio storico potrà rimanere meravigliato per la sua voluta problematicità, per il suo carattere di lettura complessa di un tema che va molto al di là dei compiti che sono richiesti ai concorrenti ed è probabile che questo tipo di approccio abbia dato fastidio (per ragioni diverse) sia al partito di maggioranza che di opposizione.
Le chiavi di lettura di questo lavoro, secondo l’autore, si possono così sintetizzare:
a) la storia stessa dei «Sassi», all’interno della «questione materana», implica un collegamento strettissimo fra ogni proposta di intervento su tale complesso e il destino della città nella Regione;
b) data tale premessa e il carattere del tutto particolare dei «Sassi», è impossibile adottare, per essi, metodi di intervento desunti di peso dagli orientamenti più aggiornati in tema di centri storici… i «Sassi» siano altro da un «centro storico»;
c) al concorrente non è richiesto un «progetto architettonico», ma, in via prioritaria, un’ipotesi di gestione economico amministrativa di una situazione altamente problematica.
“Il nostro saggio – scrive il prof. Tafuri – è di critica storica… non esista storia effettiva che non moltiplichi i problemi piuttosto che Semplificarli …”
Il concorso per i Sassi, secondo Tafuri, se letto correttamente, non può che rappresentare un primo momento di discussione politica sul destino della Basilicata e di Matera e del suo territorio di riferimento in particolare.
La prima sezione è relativa all’origine, allo sviluppo e alla storia dei Sassi, coincidente in gran parte con la storia stessa di Matera: ciò, non tanto per l’individuazione dei caratteri morfologici e tipologici dei «Sassi», quanto per confermare i significati socio-economici via via assegnati agli insediamenti subalterni nel quadro dell’economia feudale e contadina, prima, signorile e pre-borghese, poi.
Una seconda sezione riguarda i mutamenti intervenuti fra il primo ’900 e il Ventennio fascista, epoca in cui, dopo alcuni primi importanti mutamenti di comportamento sociale, l’apparente immobilismo del potere pubblico nasconde ipotesi di gestione da non sottovalutare.
La terza sezione, relativa alle vicende di questo dopoguerra, fino ad oggi, può essere letta come divisa in tre parti:
a) una prima, in cui si traccia la storia delle ripercussioni territoriali dei successivi provvedimenti relativi ai «Sassi», e la problematica specifica dei Sassi stessi, come viene affrontata dalle forze politiche e dagli intellettuali;
b) una seconda, relativa al dibattito conseguente alla evacuazione dei Sassi e al loro recupero come oggetto privilegiato di attenzione «culturale»;
c) una terza, che tenterà di mettere in relazione fra loro le ipotesi emergenti dal dibattito di cui sopra e le ipotesi di intervento economico che si vanno profilando in Basilicata, con riflessi che potranno rivelarsi, a seconda dei casi, positivi o disastrosi per l’avvenire di Matera, ma comunque sempre decisivi.
La lettura “angolata dei fatti“ è guidata da una larga serie di citazioni e di documenti, sui quali il lettore, secondo il prof. Tafuri, potrà formarsi giudizi che confermino o contestino le ipotesi di lettura.
Rileggere questo prezioso documento non può che fare bene. Il prof. Tafuri ci aiuta a comprendere cosa hanno rappresentato nel tempo i Sassi, “un punto su cui far leva per politiche che andavano sempre al di là dei Sassi”, un pretesto per fare altro. A distanza di cinquant’anni dall’analisi del prof. Tafuri, cosa sono e cosa rappresentano i Sassi oggi, poco si sa. Il rischio è che diventino un “nonluogo”, “un luogo che non esiste” (che si contrappone ai luoghi antropologici, secondo la definizione di Marc Augè). Un luogo che rischia di perdere il proprio valore identitario, relazionale, storico.
Manfredo TAFURI, trent’anni dalla sua scomparsa.
Storico dell’architettura, nato a Roma il 4 novembre 1935, morto a Venezia il 23 febbraio 1994. Assistente nel 1963-’64 presso la cattedra di Composizione di L. Quaroni alla facoltà di Architettura dell’Università ”La Sapienza” di Roma (a questo periodo risale la monografia Ludovico Quaroni e lo sviluppo dell’architettura moderna in Italia, 1964), insegnò poi Restauro dei monumenti presso l’Università di Palermo (1966-’67). Dal 1968 fu professore ordinario di Storia dell’architettura a Venezia.
Coinvolto attivamente nel dibattito teorico-politico degli anni Sessanta avviò, su riviste come Comunità (1963-’65), Marcatré(1965), Palatino(1966) e Contropiano(1969-’71), un’ampia riflessione critico-ideologica sull’architettura, culminata nel libro Teorie e storia dell’architettura(1968), a cui seguì Progetto e utopia(1973). Nei ricorrenti studi su Le Corbusier e sull’architettura contemporanea (Storia dell’architettura contemporanea, con F. Dal Co, 1976), come in quelli sull’architettura italiana (Storia dell’architettura italiana. 1944-’85, 1986), il suo territorio d’indagine ha oscillato ciclicamente tra storia contemporanea e storia moderna. I suoi ultimi saggi mostrano un tendenziale allontanamento dai temi dell’architettura contemporanea.
Il metodo storiografico di Tafuri (che gli deriva certamente dalle continue frequentazioni letterarie di autori come E. Paci, W. Benjamin, T.W. Adorno, S. Freud e M. Foucault), combina insieme fonti d’archivio, rilievi architettonici, politica, economia, teologia, storia sociale e culturale, microstorie, non ignorando la lezione di G.C. Argan. Aveva delle proprie idee sull’architettura e sul postmodernismo, apprezzava il valore di architetti (tra i quali Aldo Rossi) che lavoravano sul linguaggio, la nostalgia e la memoria. Tafuri non riusciva a trovare alcuna opera architettonica contemporanea che sfuggisse al destino di essere un gioco puramente narcisistico e consolatorio. “È – come afferma nell’introduzione al Progetto e utopia ‒ il dramma dell’architettura di oggi, quello cioè di vedersi obbligata a tornare pura architettura, istanza di forma priva di utopia, nei casi migliori, sublime inutilità. Ma ai mistificati tentativi di rivestire con panni ideologici l’architettura, preferiremo sempre la sincerità di chi ha il coraggio di parlare di quella silenziosa e inattuale purezza”.
Strano destino quello di Manfredo Tafuri. Considerato, quando era in vita, tra i più importanti storici dell’architettura della seconda metà del secolo scorso, mentre ora – a trent’anni dalla morte – una coltre di silenzio avvolge la sua produzione ed elaborazione intellettuale. La sua figura suscita una sorta di imbarazzo.La Biblioteca di Energheia