11 anni dopo il naufragio del 3 ottobre 2013, poco o nulla è cambiato. Necessaria l’apertura di canali regolari e sicuri di accesso all’Europa e l’attivazione di un sistema di ricerca e soccorso in mare
Anche quest’anno l’Organizzazione partecipa alle attività organizzate dal Comitato 3 ottobre a Lampedusa, che prevedono, tra l’altro, laboratori rivolti agli studenti italiani e stranieri e una tavola rotonda sull’esternalizzazione dei confini e violenze sulle persone migranti, e la presenza di una rappresentanza di ragazzi e ragazze del Movimento giovani di Save the Children.
Dal 2014, i morti e dispersi nel Mediterraneo sono stati in media circa 8 al giorno, pari a oltre 30.300[1], molti dei quali bambini, bambine e adolescenti. In un contesto mondiale sempre più incerto, caratterizzato da guerre, persecuzioni, violenze, povertà estrema, crisi umanitarie, chi fugge per raggiungere un futuro possibile in Europa continua a rischiare la propria vita e quella dei propri figli, in mancanza di vie legali e sicure. E troppo spesso perde la vita in quella macabra lotteria che è la traversata di una delle rotte più letali al mondo.
Undici anni dopo il drammatico naufragio del 3 ottobre 2013 davanti alle coste di Lampedusa, in cui morirono 368 persone, purtroppo poche cose sono cambiate. In questi anni si sono susseguite le notizie di imbarcazioni affondate e di persone annegate, tra le quali troppo spesso vi erano bambini e bambine. Lo afferma Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.
Per scongiurare il ripetersi di tali tragedie, l’Organizzazione continua a chiedere l’apertura di canali regolari e sicuri per raggiungere l’Europa e un’assunzione di responsabilità condivisa dell’Italia, degli altri Stati membri dell’Unione Europea e delle istituzioni europee affinché attivino un sistema coordinato e strutturato di ricerca e soccorso in mare per salvare le persone in pericolo, agendo nel rispetto dei principi internazionali e dando prova di quella solidarietà che è valore fondante dell’Unione Europea.
Se da un lato manca un meccanismo coordinato di ricerca e soccorso, dall’altro l’UE continua ad attuare misure di contenimento volte ad arginare le partenze e l’arrivo nel proprio territorio, concludendo fra l’altro accordi controversi e poco trasparenti con i Paesi terzi, sostenuti da ingenti somme di denaro senza autentiche garanzie di rispetto dei diritti umani né meccanismi di monitoraggio.
“Con guerre e conflitti che avanzano in maniera estremamente rapida, quella a cui assistiamo con profondo rammarico è una mancanza di impegno nei confronti dei trattati internazionali e del sistema globale di protezione dei rifugiati, richiedenti asilo da parte delle istituzioni europee e degli Stati Membri. L’approccio securitario e l’irrigidimento dei confini non fanno che rendere le condizioni di bambini e adolescenti, e tra loro dei minori stranieri non accompagnati, più precarie e pericolose. Nella primavera del 2024 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno definitivamente approvato il pacchetto di riforme del Patto europeo Asilo e Migrazione, un insieme di norme che minano il diritto di asilo di minori e famiglie e li mettono a rischio di detenzione, respingimenti e violenze alle frontiere. L’Unione e gli Stati membri dovrebbero ora concentrarsi sulla sua attuazione con un approccio incentrato sul rispetto dei diritti umani e dei diritti dei minori. Al contrario assistiamo alla stipula di accordi, come quello con l’Albania, che mettono le persone a rischio di detenzione prolungata e automatica, di mancato accesso a procedure di asilo eque e di ritardato sbarco. Le frontiere interne ed esterne dell’Unione Europea sono diventate luoghi di transito pericolosi, dove violenze, soprusi e violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno, così come accade sulle rotte che conducono in Europa” ha dichiarato Antonella Inverno, Responsabile Ricerca, Analisi e Formazione di Save the Children.
Save the Children evidenzia, dunque, la necessità di garantire l’accesso ai diritti fondamentali e alla protezione a tutti i minori, e tra loro ai minori stranieri non accompagnati, che in quanto tali e senza distinzioni, hanno diritto ad accedere a una cura e a un’assistenza adeguate, che tengano conto della loro storia, dei possibili traumi vissuti, ma anche dei loro sogni e delle loro speranze.
Nel corso del 2024 sono giunte in Italia via mare 48.646[2] persone rifugiate e migranti, di cui 5.542[3] minori stranieri non accompagnati.
Nel sistema di accoglienza italiano al 31 agosto 2024 risultano presenti 20.039 minori stranieri/e non accompagnati/e (MSNA)[4], in calo rispetto al 31 agosto 2023, quando ce n’erano 22.599[5], ma in aumento rispetto allo stesso periodo di rilevazione del 2022 (17.668)[6].
Nel corso del 2024 Lampedusa si conferma il principale luogo di arrivo via mare in Italia di minori stranieri non accompagnati, bambini e bambine accompagnati, donne sole e donne in stato di gravidanza. Tutti individui portatori di vulnerabilità ed esigenze specifiche complesse, per il cui supporto si è ritenuto opportuno pensare a un luogo dedicato.
È stato così realizzato, all’interno dell’Hotspot di Contrada Imbriacola, in accordo con il Dipartimento Libertà Civili del Ministero dell’Interno e la Prefettura di Agrigento, uno Spazio Sicuro a misura di minori, giovani donne e madri gestito da Save the Children, in partnership con UNICEF e in collaborazione con UNHCR e con D.i.Re, nell’ambito del progetto Leaving Violence. Le attività sono realizzate in cooperazione con la Croce Rossa Italiana, ente gestore dell’Hotspot.
ll Safe Space è uno spazio a misura di minori, adolescenti e donne, volto a fornire supporto anche psicosociale a persone in situazioni di vulnerabilità. Rappresenta un luogo sicuro dove bambini e bambine possono giocare, partecipare alle attività, conoscere i loro diritti, interagire, socializzare, esprimere le loro opinioni, ma anche un luogo focalizzato sul supporto al ruolo genitoriale, sull’identificazione dei minori vulnerabili e delle famiglie che hanno bisogno di ulteriore sostegno. Per le donne e le ragazze rappresenta uno spazio intimo, protetto e accogliente che facilita la costruzione di una relazione di fiducia con gli operatori e l’emersione di specifici bisogni o situazioni di vulnerabilità riferite a vissuti passati, attuali o a rischio di violenza di genere, attraverso attività di sensibilizzazione, ludico-ricreative e di decompressione.
Il Safe Space è stato realizzato nell’ambito dell’intervento di Save the Children a Lampedusa, dove opera dal 2008, e che dal 2020 è svolto in partenariato con UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia. I team multidisciplinari di Save the Children, nel realizzare orientamento e informativa legale, mediazione linguistico – culturale, attività di partecipazione e un primo supporto psico-sociale mirano a garantire, nel quadro dei principi di protezione, l’attivazione delle misure a tutela dei minori stranieri non accompagnati e accompagnati, donne o madri con bambini e bambine, all’interno del quadro complessivo delle attività di protezione che si svolgono sin dal momento dell’arrivo nell’Hotspot.
Anche quest’anno Save the Children partecipa alle attività organizzate dal Comitato 3 ottobre a Lampedusa, che prevedono, tra l’altro, laboratori rivolti agli studenti italiani e stranieri, e una tavola rotonda sull’esternalizzazione dei confini e violenze sulle persone migranti, con un intervento di Antonella Inverno. Inoltre, l’Organizzazione sarà presente con una rappresentanza di ragazzi e ragazze del Movimento giovani di Save the Children, che racconterà le giornate sui loro canali social e sul nuovo sito lanciato a maggio (https://movimentogiovani.savethechildren.it/) e con la redazione di Change the Future che racconterà le giornate sui canali del Movimento.