L’audizione ieri a Roma dinanzi alla XI Commissione lavoro della Camera dei deputati sulla proposta di legge sul Salario Minimo in merito alla Direttiva della Commissione Europea
«Ampliare lo strumento del welfare aziendale innalzando la soglia di fringe benefit a 3.000 euro per tutti i lavoratori dipendenti ed ai lavoratori con un reddito assimilato a quello del lavoro dipendente, a prescindere dall’avere o meno a carico figli o coniuge». È una delle richieste avanzate dal consigliere nazionale di Unimpresa per Welfare e Lavoro, Giovanni Assi, durante l’audizione di ieri a Roma dinanzi alla XI Commissione lavoro della Camera dei deputati.
Nell’ambito della discussione sul decreto lavoro, Assi ha suggerito, in relazione al cosiddetto salario minimo, di «destinarlo solo a quella (fortunatamente) piccola platea di lavoratori priva delle tutele previste dalla Contrattazione collettiva, ed è solo per quegli ambiti di attività non coperti dai contratti collettivi che il salario minimo – che dovrà essere definito annualmente con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla base di un valore definito da una apposita commissione composta da rappresentanti dei lavoratori e delle imprese – dovrà trovare applicazione, obbligando il datore di lavoro a corrispondere tale trattamento. Nessuno, infatti, deve essere ‘sottopagato’ ed è giusto tutelare i lavoratori più deboli, ma senza generare ulteriori situazioni di squilibrio del quadro economico e delle relazioni industriali del Paese. I contratti collettivi esistenti nel nostro Paese offrono un’ampia platea di istituti contrattuali che fanno parte integrante della retribuzione annuale – dai ROL (riduzione dell’orario di lavoro) al welfare contrattuale, dalle mensilità̀ aggiuntive ai permessi retribuiti – e che negli altri paesi non è detto che esistano. Quando si parla di Salario minimo orario in sede comunitaria, bisogna quindi valutare anche queste situazioni. Bisogna individuare, dunque, gli standard nei minimi della contrattazione collettiva, che nel nostro Paese rappresenta un valore da rafforzare e tutelare, non certo da cancellare con una legge».
Secondo il consigliere nazionale di Unimpresa «al fine di aumentare il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti ed al tempo stesso di stimolare la produttività è necessario azzerare le imposte, sia a carico dei lavoratori che a carico delle aziende, sui premi di produttività fino all’importo annuo di 6.000 euro».
Assi ha poi proposto di «definire regole più efficaci in base alle caratteristiche dell’azienda, ma anche ai bisogni dei dipendenti: va incentivata la sottoscrizione dei cosiddetti contratti di secondo livello, che consentono di operare con maggiori autonomia e flessibilità, integrando alcuni istituti economici e normativi disciplinati dai contratti collettivi nazionali o da specifiche normative, ecco perché Unimpresa propone la detassazione totale oltre che dei premi di produttività come sopra già indicato, propone anche di azzerare la tassazione sugli aumenti salariali che derivano dalla contrattazione di secondo livello così ad esempio se un CCNL prevede un minimo salariale per quel determinato livello di 10 euro all’ora e l’azienda per effetto di una contrattazione di secondo livello conclusa con le organizzazioni sindacali corrisponde a quel lavoratore un salario di 12 euro all’ora, i due euro dati in aggiunta devono essere totalmente esenti da contribuzione e tassazioni in maniera da portare effettivamente nelle tasche del lavoratore due euro in più nette e all’azienda costare effettivamente due euro senza ulteriori aggravi».