È stata depositata il 26 gennaio scorso, la sentenza della Suprema Corte che accogliendo le difese di Legambiente, difesa dall’avv. Massimo Moretti, ha rigettato il ricorso proposto da Fabio Riva, nella qualità di erede di Emilio Riva, patron di ILVA S.p.A., e Luigi Capogrosso, ex Direttore dello stabilimento ex Ilva di Taranto, contro la sentenza n. 144/21 della Corte di Appello di Lecce (che a sua volta aveva confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Taranto). Il giudizio e la sentenza di condanna del Tribunale Civile si erano resi necessari per quantificare il danno riconosciuto nel procedimento penale concluso con la sentenza di primo grado n. 408/2007 del Giudice Monocratico del Tribunale Penale di Taranto (confermata per gli aspetti civili sia in appello nel 2008 che in Corte di Cassazione, con sentenza del 2010), che riconosceva il diritto di Legambiente, costituita parte civile con l’avvocato Eligio Curci, al risarcimento del danno. Il procedimento penale in questione si riferiva al reato di “getto pericoloso di cose” per il periodo compreso tra la fine degli anni ‘90 e la data di sentenza di primo grado (2007), connesso alla produzione industriale dello stabilimento Ilva di Taranto, con particolare riferimento alle immissioni di sostanze inquinanti provenienti dall’area a caldo. “La sentenza – spiega Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto – nel rigettare l’impugnazione proposta dall’erede di Emilio Riva e dall’ex Direttore di stabilimento, conferma una volta ancora l’incessante impegno dell’associazione e di tutti i volontari a tutela del bene ambiente nell’ambito della Città di Taranto con particolare riferimento alle problematiche poste dalle emissioni di sostanze inquinanti dello stabilimento ex Ilva”. I reati commessi da Riva (padre) e da Capogrosso – secondo le sentenze – hanno offeso l’integrità del territorio sotto l’aspetto della vivibilità ambientale, che rappresenta scopo statutario di Legambiente. L’emissione dallo stabilimento ILVA di grossi quantitativi di polveri ed altre sostanze verso i quartieri cittadini circostanti, oltre ad offendere e molestare le persone, imbrattando di arredi urbani ed edifici pubblici e privati, hanno offuscato l’attività del mondo ambientalista, quello di Legambiente in particolare, pregiudicandone l’attività. “La sentenza della Corte di Cassazione – spiega l’avv. Massimo Moretti – che conferma le sentenza della Corte di Appello e del Tribunale di Taranto, rappresenta comunque un importante risultato su scala nazionale per il mondo ambientalista e per l’associazione Legambiente, poiché è un provvedimento che, nel riportarsi alla prevalente giurisprudenza sia della Corte di Cassazione che del Consiglio di Stato e della Magistratura Contabile in materia di risarcimento in favore delle persone giuridiche, conferma i principi chiaramente esposti dalla sentenza di primo grado e i requisiti necessari per poter ritenere provato anche in sede civile il danno subito dall’associazioni costituitasi parte civile in esito alla commissione di reati che hanno inciso sull’ambiente”. Legambiente intende utilizzare il risarcimento stabilito in proprio favore, una volta che sarà faticosamente introitato (poiché i soggetti condannati al risarcimento non hanno sino ad oggi mostrato alcuna volontà di saldare il proprio debito), per iniziative destinate alla comunità di Taranto: “intendiamo investire in formazione, in iniziative sul territorio jonico che, unite alla nostra attività di studio, denuncia e proposta possano contribuire al consolidamento, soprattutto nelle nuove generazioni, di una cultura ambientalista capace di premiare lo studio e l’approfondimento delle tematiche ambientali”– dichiara Daniela Salzedo, direttrice regionale di Legambiente Puglia. I contenuti della sentenza sono stati presentati nella conferenza stampa di questa mattina, presso la sede di Legambiente Taranto, alla presenza di attivisti e volontari che costituiscono la colonna portante dell’impegno ambientalista di Legambiente Puglia. |