L’analisi evidenzia come una famiglia su dieci (10%) risulti in gravi difficoltà economiche, ovvero abbia avuto difficoltà nel corso del 2023 a sostenere le prinicipali spese quotidiane in tutti gli ambiti presi in esame: un dato sostanzialmente stabile rispetto al 9% del 2022, ma che ancora una volta è il peggiore da quando viene effettuata l’indagine. Solo una famiglia su quattro (27%), invece, ha dichiarato di non aver avuto nessuna difficoltà.
Contestualmente aumentano le famiglie che faticano a risparmiare: tre su quattro (74%) hanno avuto difficoltà a mettere da parte risparmi (+4 punti percentuali sul 2022) e nello specifico, quelle che hanno avuto grosse difficoltà sono passate dal 35% al 40%.
In generale, la stabilizzazione della situazione rispetto al 2022 mostra il permanere di una percezione fortemente negativa degli italiani in molti ambiti quotidiani di spesa, nonostante un contesto nazionale di crescita economica e di miglioramento dell’occupazione, a cui si è accompagnato nel corso dell’anno un rallentamento dell’inflazione. Sembra dunque che le politiche messe in campo a sostegno ai redditi, dalla proroga del taglio del cuneo fiscale, alle iniziative per il contenimento dell’inflazione e ai diversi bonus attivati o prorogati, dalla prima tranche di fondi sbloccati per la sanità alla messa a terra del Pnrr, non stiano avendo le ricadute positive che ci si attendeva.
Gli ambiti di spesa
Nel 2023 gli ambiti che creano difficoltà al maggior numero di famiglie sono le spese per l’abitazione (51% ha avuto difficoltà a sostenerle) e per la salute (47%), seguite da altri due aspetti rilevanti come la mobilità (42%) e, soprattutto, l’alimentazione (41%). Il peggioramente più evidente rispetto al 2022 lo registrano salute e alimentazione, con un aumento delle famiglie in difficoltà di 5 e 4 punti percentuali rispettivamente. Guardando nel dettaglio si scopre che le voci più problematiche sono visite mediche (52%, in aumento di 4 punti percentuali rispetto al 2022) e cure dentistiche (51%), per quanto riguarda la salute; carne e pesce (47%) e frutta e verdura (44%) per quanto riguarda l’alimentazione, con aumenti sostenuti, pari a 7 punti percentuali per entrambe le voci.In crescita anche il numero di quanti fanno fatica a concedersi qualche sfizio come andare al bar o al ristorante (44%, 8 punti percentuali in più rispetto al 2022).
Salute e alimentazione sono ambiti che influenzano fortemente la qualità di vita delle persone e la difficoltà a far fronte alle spese per provvedervi mette a rischio la tenuta sociale e minaccia i diritti fondamentali dei cittadini. Dai dati emersi appare evidente l’inefficacia delle iniziative intraprese dalla politica, sia sul fronte della lotta all’inflazione del carrello della spesa (Carrello Tricolore), sia per quanto riguarda il contrasto all’allungarsi delle liste di attesa, un fenomeno che spinge gli italiani a fare sempre più ricorso al privato, con un esborso significativamente maggiore e alla portata di pochi fortunati. Secondo gli ultimi dati disponibili la spesa sanitaria privata nel 2022 ha raggiunto i 40,1 miliardi di euro[1] e nel 2023 il 7%[2] di chi aveva bisogno di cure ha rinunciato per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio.
Confronto fra aree geografiche
Per quanto riguarda la comparazione fra le diverse zone della Penisola, si conferma anche nel 2023 il divario fra Nord e Centro-Sud. Le difficoltà a sostenere le spese sono maggiori al Centro (indice pari a 43,5) e al Sud e isole (43,6); migliore invece la situazione al Nordest (45,3) e soprattutto al Nordovest (47,5). Rispetto all’anno precedente si nota un una divaricazione tra le due aree settentrionali, con il valore del Termometro che diminuisce di 1,4 punti per il Nordest e invece aumenta di 1 punto per il Nordovest. Più stabile l’andamento del Centro (-0,6) e del Sud e isole (+0,2).
Non sorprende quindi che le Regioni in cui si riesce ad affrontare meglio le spese restino principalmente nel Nordovest. Il valore dell’indice è significativamente superiore alla media per Liguria (49,3), Lombardia (48,3) e Piemonte (47,1), ma anche Trentino-Alto Adige, Sicilia e Veneto superano, anche se non di molto, il dato medio. Le regioni invece in cui la capacità di sostenere le spese è inferiore alla media sono: Umbria, Campania, Calabria e Abruzzo.
Confronto per tipologia di famiglia
Passando al confronto per tipologia di famiglia, il titolo di studio si conferma ancora una volta come un fattore importante nell’influenzare la capacità di spesa: i nuclei familiari in cui entrambi i partner hanno un titolo universitario mostrano una migliore capacità di affrontare le spese (50,0) rispetto a quelle in cui nessuno dei due partner è laureato (39,8). La situazione appare poi più agevole per chi vive da solo (49,3), mentre le difficoltà aumentano di pari passo con il numero dei componenti della famiglia, cosìcchè alla fine i nuclei numerosi risultano i più penalizzati, con un indice a 40,5 per quelli composti da 5 o più persone.
Emerge dunque con chiarezza come il titolo di studio rifletta diseguaglianze di reddito. È fondamentale pertanto tornare ad investire nell’istruzione per riattivare la scala sociale e aumentare il numero di giovani in possesso di una laurea o di un titolo di studio terziario, che nel nostro Paese è sensibilimente al di sotto della media europea (29,2% vs il 42% nella fascia 25-34 anni)[3]. Inoltre, le difficoltà maggiori in cui versano le famiglie – e non solo quelle numerose – rispetto ai single, denuncia un sistema in cui le spese di ogni componente si sommano a quelle degli altri senza che intervengano meccanismi di attenutazione: ciò porta a riflettere sulla necessità di politiche pubbliche a sostegno dei nuclei con figli più incisive rispetto quelle ad oggi messe in campo, quali l’assegno unico universale, i diversi bonus (assegno di natualità, bonus mamma.. ), l’estensione dei congedi parentali.
Le aspettative per il 2024
L’indagine rileva, inoltre, le previsioni per il 2024: ancora una volta si conferma la tendenza di consumatori e famiglie italiane a guardare al futuro con timore e pessimismo. Le attese sono infatti di un ulteriore peggioramento della situazione: l’indice che riflette le aspettative per l’anno in corso è inferiore di 1 punto rispetto a quello registrato per l’anno trascorso. Un terzo degli intervistati (32%) ritiene che la sua famiglia avrà più difficoltà a sostenere le spese nel 2024 rispetto a quanto avvenuto nel 2023. La metà (50%) stima che la situazione resterà invariata, mentre solo il 19% prevede che sarà più facile.
Aspettative al ribasso anche per la capacità di risparmio: il 76% ritiene che sarà difficile per la propria famiglia mettere soldi da parte nel corso del 2024 e ben il 44% immagina che sarà molto difficile, se non impossibile, farlo (rispetto al 40% del 2023).
Il confronto con gli altri Paesi
Infine, il confronto con gli altri Paesi europei che hanno partecipato all’indagine mostra che, anche nel 2023, l’Italia si colloca ad un livello simile alla Spagna (valore dell’indice 46,0), mentre in testa restano le famiglie belghe (53,5) e in coda quelle portoghesi (43,4). Meno positivo il fatto che l’Italia, come la Spagna, mostri una sostanziale stabilità dell’indice rispetto al valore dello scorso anno: +0,2 per la Spagna, -0,1 per l’Italia, mentre Belgio (+1,4) e Portogallo (+1,3) fanno segnare un miglioramento. Sono le spese sanitarie a segnare il passo rispetto agli altri Paesi: la percentuale di famiglie italiane in difficoltà da questo punto di vista (47%) è particolarmente elevata rispetto a quanto avviene in Spagna (38%), in Portogallo (36%) e in Belgio (28%).
“La stabilizzazione del quadro in cui versavano le famiglie italiane già nel 2022 rappresenta un dato solo apparentemente positivo, perché, sebbene indichi un’interruzione di un trend di progressivo peggioramento in atto dal 2021, in realtà denota come ci si sia arenati in una situazione negativa e non si trovino soluzioni efficaci per invertire la rotta.” dichiara Federico Cavallo, Responsabile Relazioni Esterne Altroconsumo –“È evidente che anche gli elementi di contesto che avrebbero potuto avere un impatto positivo, come la crescita del Pil e l’aumento dell’occupazione, non sono riusciti ad incidere nel senso di un miglioramento nella percezione che hanno gli italiani della loro capacità di spesa in molti ambiti quotidiani. La mancata accelerazione della dinamica salariale e l’inflazione ancora alta per gran parte dell’anno hanno eroso ogni margine di miglioramento proiettando un’ombra di timore e pessimismo anche sul 2024. Di fronte al permanere di una situazione nazionale negativa, a cui si aggiunge l’aumento di incertezza dello scenario geopolitico mondiale, gli italiani nutrono una sfiducia sempre più radicata nella politica da cui ci si aspetta poco, ma si ottiene ancora meno. Una delusione e un calo di aspettative che rischiano di proiettarsi nel voto europeo di giugno, quando la disillusione potrebbe alimentare l’astensionismo o confluire verso un populismo nazionalista che imputa all’UE la responsabilità di problemi che sono invece tutti italiani. In questo scenario, il ruolo delle Istituzioni è dunque centrale nel fornire soluzioni concrete che tutti noi auspichiamo possano restituire fiducia nel futuro ai cittadini provati dalle difficoltà di un momento storico segnato da molte incertezze”.
A dicembre 2023 Altroconsumo ha sottoposto a un campione di 2.918 italiani (25-79 anni), distribuiti su tutto il territorio nazionale, un questionario in cui è stato chiesto di indicare:
- Quanto è stato difficile nel 2023 affrontare le spese relative a 6 ambiti principali (abitazione, salute, alimentazione, mobilità, cultura e tempo libero, istruzione) e rispettive voci di spesa per il proprio nucleo familiare;
- Quanto si prevede che sarà difficile farlo nel 2024;
- Quanto ciascun ambito è importante per la qualità di vita del proprio nucleo familiare.
A partire dai dati rilevati è stato calcolato un indice compreso tra 0 e 100 che esprime la capacità delle famiglie di sostenere le spese principali nel corso del 2023. L’indice (Consumer Affordability Index – Termometro Altroconsumo in Italia) tiene in considerazione l’importanza che ciascuna dimensione ha sulla qualità di vita. Più è alto il valore dell’indice più è stata agevole la situazione delle famiglie e viceversa (più è basso e maggiori sono state le difficoltà).
Il valore dell’indice non può essere interpretato come una scala di giudizio di per sé (es. 60 non significa sufficiente), tuttavia in base al valore osservato tra chi dichiara di aver avuto difficoltà per tutte le 6 dimensioni indagate (gravi difficoltà economiche) e tra chi dichiara di non averne avute per nessun ambito di spesa (nessuna difficoltà economica) sono stati individuate delle soglie da utilizzare per l’interpretazione del valore dell’indice. Per l’Italia nel 2023 sono le seguenti:
- da 0 fino a 31,1 => Gravi difficoltà economiche
- da 31,2 fino a 52,6 => Alcune difficoltà economiche
- da 52,7 fino a 100 => Nessuna difficoltà economica
Aldilà di questa interpretazione lo scopo principale dell’indice è quello di rendere possibile il confronto tra:
- i diversi anni (andamento rispetto agli anni precedenti)
- le diverse aree geografiche
- le diverse tipologie di famiglie
- l’anno trascorso rispetto alle aspettative per l’anno successivo.
[1] C.R.E.A. Sanità, Centro di ricerca riconosciuto da Eurostat, Istat e ministero della Salute, diciannovesimo rapporto presentato a gennaio 2024
[2] ISTAT Indagine conoscitiva sulle forme integrative di previdenza e di assistenza sanitaria nel quadro dell’efficacia complessiva dei sistemi di welfare e di tutela della salute – 10a Commissione (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato della Repubblica Roma, 5 maggio 2023
[3] Report Istat “Livelli di istruzione e ritorni occupazionali” – 2022