Il dibattito sulla difficoltà nel reperire lavoratori stagionali: evidentemente non era colpa del sussidio
Lecce, 6 maggio 2024 – Puntualmente, in questo periodo, si ritorna a discutere di turismo in tutte le sue sfaccettature e, altrettanto puntualmente, le imprese del settore lamentano penuria di personale. Fino allo scorso anno il mantra ricorrente recitava più o meno così: “La gente non ha più voglia di lavorare; è tutta colpa del Reddito di cittadinanza”.
La Filcams Cgil ha sempre sostenuto invece che, pur tra tanti abusi oggettivi, il Reddito di cittadinanza non fosse la vera causa di questa difficoltà. E lo abbiamo detto sulla base di un ragionamento semplice, consequenziale: se gli addetti al settore turismo fossero stati pagati come previsto dalla contrattazione nazionale e se il contratto collettivo fosse stato rispettato anche su riposi, ferie, permessi, orario di lavoro, quale convenienza avrebbero avuto migliaia di lavoratori nel percepire un sussidio così esiguo? Risposta scontata: non avrebbero avuto alcuna convenienza. Oggi i nodi vengono al pettine e la realtà dice che quel nostro discorso non faceva una piega, visto che anche quest’anno, con il Reddito di cittadinanza debellato dal Governo, la “penuria di personale stagionale” si ripresenta.
In un recente articolo di stampa, il vicepresidente del Fipe nazionale, dopo aver ammesso quanto da noi già in passato sostenuto, afferma che lo sfruttamento nel settore del turismo sia una “leggenda metropolitana”, citando la sua personale esperienza di imprenditore rispettoso di regole e contratti. Pur apprezzando la sua condotta di datore di lavoro, che è bene ricordare dovrebbe essere considerata normale, quel che noi incrociamo quotidianamente nelle nostre sedi racconta una realtà completamente diversa: lavoro sottopagato, orari che eccedono di gran lunga quello ordinario, condizioni di sfruttamento, lavoro nero. In due parole: precarietà e sfruttamento.
È troppo semplicistico invitare le persone alla denuncia, perché sappiamo bene quali retaggio culturale e paure si celino dietro questa scelta. Sarebbe più opportuna una scelta etica da parte di tutte le imprese del settore, una scelta di rispetto non solo di regole e contratti, ma anche e soprattutto della vita di ciascun lavoratore. È una battaglia culturale che dovrebbe vedere protagonisti proprio quegli imprenditori onesti che si vedono ingiustamente omologati in quella platea, purtroppo maggioritaria, di “prenditori” interessati solo ad accrescere il proprio profitto, indifferenti a dare il proprio contributo non solo alla crescita individuale, ma anche allo sviluppo territoriale.